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mercoledì 28 marzo 2012

Io ho paura


Io non ho paura del fascista dichiarato, di quello che saluta con il braccio teso, che entra e esce da Casapound; del fascista che si nasconde dentro una divisa da paracadutista o da poliziotto, con un manifesto del Duce nell'armadietto e inquadrato nelle squadre speciali che servono alla repressione più dura. Mi sembra che battermi contro questo spirito anacronista che vivifica ancora certuni ammantando di mito la loro brutalità e insieme la loro pochezza, il loro vuoto esistenziale, sia scontro d'altri tempi, assodato, certo, tradizionale e scontato, quand'anche si risolvesse in vero e proprio scontro fisico: come si appartenesse a tifoserie diverse.
Non ho nenache paura del fascista dal colletto bianco, imbiancato da una mano di modernismo alla Chirac, buono per tutti i tempi e bipartisan, accondiscendente populista, vagheggiatore di diritti dei popoli, sempre che se ne parli in termini di razza, appartenenza e religione. Che ammette lo sfruttamento come inevitabile sana concorrenza tra gli uomini come se la gara, il salto nel fuoco, l'agone fosse connaturato filogeneticamente all'essere umano che sempre si deve battere per prevalere, dalla lotta all'uso spasmodico del pronome personale di prima persona IO. Non lo temo perché ho una mente che ragione col cuore, ho tanti libri nel mio zaino, tanto sangue sparso a terra di progenitori miei e altrui che non conoscerò mai, ma che una sorte comune ci lega a questa terra; ho tante idee sbagliate e pregiudizi, ma lo so, e maturare mi importa più del posto fisso.
Mi fa paura il qualunquista. L'indifferente mi terrorizza; mi annichilisce il povero di spirito che non ha porte e finestre se non quella aperta sul mondo preordinato da una manciata di canali televisivi. Mi ossessiona il suo petulante lamento che s'accompagna ad un pari immobilismo; il suo "Che ci vuoi fare", il suo "Tanto non cambia niente" che è speranza che nulla cambi così tanto da non intaccarne il torpore. Quello che giustifica sempre la violenza dello Stato, perché la protesta dev'essere pacifica ed educata, se poi fosse anche elegante forse lo impressionerebbe un poco persino. Ma soprattutto non deve ledere, non deve creare disordine e scompensi, "disagi", parola ormai ripetuta come un mantra da ogni telegiornale che si rispetti (?). E se poi, per puro caso, informato da Le Iene o Striscia la Notizia, gli vagola in quella pianura sconfinata che sono le sue emozioni un sussulto di approvazione, allora "Che vadano a Roma! Lì bisogna andare", esprimendosi sempre con il distacco di chi si aspetta che siano gli altri a far gli interessi suoi. Perché se il sussulto increspa un poco quel suo piatto orizzonte interiore, non scaturisce da un ideale adolescenziale opaco e pressoché irriconoscibile, ma dal soldo. Mi fa paura perchè non legge se non Leggo, e perolpiù lo sfoglia, avendo poi di che passare qualche giornata a ripetere appresso l'interlocutore ciò che l'interlocutore insegue delle sue stesse parole, rendendo ciò che entrambi credono dialogo una vuota preghiera al caso, che ha colpito tale o tal'altro, inchinandosi alla conoscenza superiore dell'esistenza, che solo la cronaca nera può descrivere amaramente per loro. E si sentono fortunati, che la disgrazia capitata a tale o tal'altro non sia incorsa proprio a loro che si scambiano parole non proprie ma ripetute dandosi ragione a vicenda indefinitamente. Ho paura perché non so come riempire questo vuoto, come accendere un fuoco nello stagno della coscienza di costoro, quale leva usare di volta in volta per provare a spostare la loro pachidermica inamovibilità. Ho paura perché sono i primi che reputo inutili; risiedono in un territorio amorfo oltre qualunque soluzione politica prefigurabile, da essere contati come bestiame al di là del senso stesso di democrazia, che pure loro dovrebbe salvaguardare. Ho paura di loro, perché è con loro che perdo il senso stesso della democrazia.

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