Nelle ultime settimane si è assistito a una vera e propria
offensiva contro il movimento No Tav attraverso Fogli di via obbligatori,
notificati a decine di persone. Ma che cos’è in realtà un Foglio di via
obbligatorio?
Leggiamo in Diritto.it[1] un articolo firmato da Rocchina
Staiano, docente all’Università di Teramo. Innanzitutto, perché venga adottato
tale provvedimento, è necessario che il questore accerti due presupposti:
1) che la persona colpita dalla misura ricada in una delle
categorie a rischio catalogate ai numeri 1, 2, e 3 dell’art. 1 della Legge n.
1423, del 27 dicembre 1956;
2) che sia pericolosa per la sicurezza pubblica.
"1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi
di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi;
2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba
ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in
parte, con proventi di attività delittuose;
3) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi,
sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che
offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la
sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica".
Trattandosi, secondo la legge, non già di una misura
repressiva, ma preventiva, il Foglio di via viene adottato senza prove di
reato, senza la necessità che una persona sia già pregiudicata, ma attraverso
la valutazione che l’Autorità di Polizia dà del comportamento dell’individuo, e
la presupposizione che questo possa degradare in attività delittuose e condotte
penalmente rilevanti.
Insomma “un provvedimento caratterizzato da un’ampia
discrezionalità, di natura così fortemente restrittiva e comportante immediati
e sconvolgenti effetti sulla sfera giuridica e personale, per cui prima della
sua adozione è sempre necessario svolgere un'attenta stringente indagine su
tutti gli elementi che giustificano l’adozione dell’atto, e del quale
costituiscono indefettibili presupposti”, come stabilito dal Tar di Trento con
la sentenza n. 316 del 7 ottobre 2004[2], con la quale veniva annullato il
provvedimento in un caso di appello.
Vediamo un esempio di come questo provvedimento è stato
adottato. Ciascuno avrà la propria storia da raccontare, Stefano Dorigo ha la
sua. Stefano è di Udine ma vive a Parigi; studia Scienze della comunicazione
all’Università Paris VIII; sta scrivendo una tesi sull’uso che il movimento No
Tav fa di Internet a scopi organizzativi e di contro-informazione; è autore,
con Pantaleo Elicio, di A Riot Of My Own, un romanzo sugli anni '70 e gli
esiliati italiani a Parigi; e medita di ambientare il suo secondo romanzo
nell’ambiente del movimento stesso. Appartiene da tempo al movimento No Tav e
frequenta il campeggio di Chiomonte. Il 24 luglio si trova sul treno che da
Chiomonte sta conducendo parte dei manifestanti ad unirsi a Bussoleno alla
protesta No Nuke, per il passaggio del convoglio ferroviario che trasporta in
Francia scorie radioattive provenienti dalla centrale di Saluggia. È cioè sul
treno che viene bloccato per quattro ore e mezza a Bussoleno e presidiato da un
nutrito reparto antisommossa – casco, scudo e manganello alla mano –, sino a
che finalmente, manifestanti e comuni viaggiatori, vengono liberati e
identificati. Durante tutto questo tempo Stefano tiene i contatti con radio
Blackout.
Circa un mese dopo, sabato 18 agosto, Stefano si trova su
una delle tre autovetture che si dirigono a Giaglione, da dove famiglie,
giovani e meno giovani occupanti si dovrebbero recare in val Clarea per una
passeggiata tra i boschi e una visita al non-cantiere. L’ultima delle tre auto
viene fermata a un posto di blocco nei pressi di Susa, sicché le prime due si
fermano a loro volta sia per solidarizzare, sia pure per accertarsi che tutto
proceda senza problemi. E infatti pare che tutto si debba risolvere in breve
tempo, non fosse che anche chi si avvicina al posto di blocco viene controllato
e i problemi cominciano per Stefano: gli deve essere notificato un atto, cosa
che si preannuncia sin da subito con una nota di colore. Ai Carabinieri di Susa
non sembra andare a genio di dover scortare Stefano sino a Torino e cercano di
ottenere dalla Polizia che l’atto venga notificato nella caserma di Susa, a
portata di mano; la Polizia insiste sulla pertinenza della consegna – un
commissariato di Polizia –, e alla fine il capitano dei Carabinieri di Susa
ottiene che sia il commissariato di Rivoli il luogo deputato alla consegna
dell’atto, di cui peraltro la Polizia si rifiuta di comunicare il contenuto. In
sostanza, l’atto deve essere notificato dalla Polizia di Stato, la Polizia si
rifiuta di rivelarne il contenuto ai Carabinieri, ma saranno i Carabinieri a
dover scortare Stefano e la sua compagna che lo segue, sino a Rivoli, al
commissariato di Polizia.
Quel che si può aspettare Stefano gli sarà reso noto
soltanto nel momento in cui si rigirerà per le mani il Foglio di via
obbligatorio che gli viene notificato appunto a Rivoli, e con il quale la legge
lo terrà lontano dai Comuni di Avigliana, Bussoleno, Chiomonte, Exilles,
Gravere, Giaglione e Susa per due anni.
Stefano è cioè un soggetto pericoloso.
Il motivo della pericolosità di Stefano Dorigo si legge
nella seconda pagina dell’atto stesso, al primo capoverso: “Vista la
segnalazione della locale Digos […] dalla quale risulta che insieme ad altri
facinorosi manifestatamente appartenenti all’area di contestazione o
anarco-insurrezionalista o marxista-disobbediente, nelle prime ore del 24
corrente luglio alla stazione di Chiomonte (TO) saliva sul treno diretto a
Torino per unirsi ad un gruppo di persone che manifestavano contro il passaggio
del convoglio adibito al trasporto di materiale nucleare, diretto verso la
Francia, Infatti, prima che il loro treno entrasse nella stazione di Bussoleno
(TO) ne arrestavano la corsa mediante l’azionamento del freno di emergenza.
[…]”
Insomma i cani sciolti, i leninisti, i cattolici un po’
nervosi o i rivoltosi della domenica possono star tranquilli: non sono
“manifestatamente” appartenenti alle aree su cui vigila l’occhio attento della
giustizia. Ma “manifestatamente” significa anche che gli appartenenti alle
classi di persone su menzionate siano etichettabili attraverso paradigmi
incontrovertibili: stesso peso, stessa altezza, stesso abbigliamento, stesso
codice linguistico, stesso portamento, stesso comportamento, stesso segno
zodiacale forse pure. “Manifestatamente” resta a dir poco una categoria di
giudizio prescientifica, e in quanto tale piuttosto arbitraria; per non parlare
delle classi proposte, perché a ben vedere anche a chi si definisce anarchico
ma non inserruzionalista il Foglio di via non dovrebbe essere applicabile, a
meno che non si voglia, per semplicità, far coincidere tutto l’anarchismo con
l’insurrezionalismo. Dell’area marxista-disobbediente bisognerebbe intanto
accertarsi chi disobbedisce a chi, se a Marx o a qualcun altro, individuabile
con il “sistema” o il “capitale”. Inutile addentrarsi nei meandri di tipologie
entro le quali è facile venirsi a trovare senza saperlo. Quanto poi all’aver o
no azionato un freno di emergenza, qualora fosse il caso dovrebbe bastare forse
una multa, comminata all’eventuale responsabile. Ma l’atto prosegue e recita:
“Considerato che quel gruppo di persone identificate a bordo del treno
unitamente ad altri passeggeri estranei ai fatti, erano provenienti dal
campeggio di Garavella di Chiomonte (TO), dove hanno preso via le numerose
azioni violente […] che hanno determinato una situazione di grave allarme
sociale e preoccupazione per la sicurezza pubblica per quel territorio;” e
considerato che Stefano non ha stabile attività lavorativa né residenza o legami
famigliari in Val di Susa, rientra nella “ipotesi dell’art. 2 del D. L.vo
159/2011 in relazione all’art. 1 della stessa norma […] relativo alle persone
pericolose per la sicurezza pubblica […] per la condotta e il comportamento
accertati inquadrabili nella lettera c) delle categorie contemplate dall’art. 1
del D. L.vo 159/2011”, ovvero la medesima categoria contemplata dall’art. 1
della Legge n. 1423, del 27 dicembre 1956[3] e ripresa alla lettera dal D. L.vo
159/2011.
Tirando le somme vien da pensare che per manifestare bisogna
necessariamente appartenere a una delle due aree su citate, che lo si voglia o
no, che lo si sappia o no, e si sia, ipso facto, pericolosi malviventi per
imperscrutabile giudizio. Ma soprattutto conta il luogo di provenienza: frequentare
il campeggio No Tav di Chiomonte, per esempio, significa frequentare un campo
paramilitare, dal quale, a questo punto, bisognerebbe escludere tutti gli obesi
e i non più giovani, i timorati di Dio, i fumatori accaniti e insomma tutti
quelli che meriterebbero la Rupe Tarpea. Poco contano le decine di incontri e
dibattiti, di confronto e di dialogo, le presentazioni di libri e di progetti,
di concerti e di teatro. Saran da considerarsi momenti di svago per la truppa
di facinorosi. Perché in fin dei conti al campeggio No Tav, o sei un facinoroso
o ti sbattono fuori.
Qualcosa si è raffinato nelle procedure. Si è assistito il
luglio dello scorso anno, e per l’estate intera, al lancio di lacrimogeni ad
altezza uomo, preferibilmente volti a colpire chi con telecamere o macchine
fotografiche si esponeva a documentare ciò che stava avvenendo; poi son
cominciate le denunce, gli arresti, i processi non ancora terminati, il carcere
restrittivo e l’isolamento, forme straordinarie di repressione non commisurata
ai reati contestati. Quella dei Fogli di via si applana su queste misure e le
prosegue non già attraverso l’accertamento di un reato o la sua
presupposizione, ma attraverso la presupposizione di pericolosità. Manifestare
è pericoloso, “manifestatamente”. Ma se si pensa alla storia di Stefano Dorigo
non può venir in mente anche alla prontezza con cui si è proceduto alla sua
espulsione dal luogo sul quale sta conducendo i suoi studi, dal quale trae il
materiale per il suo prossimo libro: difficile sparare a chi la penna in mano
la deve tenere fuori dalla portata di un mirino.
Più in generale, la discrezionalità – e l’arbitrarietà –
sembrano davvero innervare l’intero criterio con cui si possa ricorrere a
questo provvedimento. Un provvedimento che la legge vorrebbe non repressivo, ma
preventivo, e in virtù di ciò basato su approfondite indagini volte ad
accertare un comportamento abituale. Ma l’abitualità, l’abitudine, la recidivia
in comportamenti comprovabili è data dalla somma di un certo numero di eventi, esempi
o manifestazioni di un atteggiamento osservato nel tempo. Se l’episodio per il
quale il Foglio di via si rende plausibile è unico, come è il caso in
questione, resta incomprensibile dove risieda l’accurata indagine, come si sia
potuto stabilire l’attitudine e la pericolosità di un individuo (i Fogli di via
obbligatorio comminati superano a oggi di gran lunga la trentina per questo
singolo fatto) attraverso un solo evento e soprattutto, a questo punto, quanto
la discrezionalità reinterpreti la legge ad usum Delphini, semplificandola da
strumento preventivo a dispositivo deliberatamente repressivo.
[1] Fonte: Diritto.it:
http://processo_esecuzione.diritto.it/docs/32483-rimpatrio-e-foglio-di-via-obbligatorio-cons-stato-n-5479-2011#.
[2] Fonte: Altalex:
http://www.altalex.com/index.php?idnot=29124.
[3] Fonte: Gazzetta Ufficiale, n. 226, del 28 settembre 2011
– Serie generale, reperibile in rete:
http://ssai.interno.it/download/allegati1/aml_dlgs6settembre2011, n.159.pdf
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