di Massimo Bonato
Voto al Senato. La
Torino-Lione da oggi è legge. Vergognosa cessione di sovranità nazionale e
legittimazione delle mafie ai cantieri.
La Nuova Linea Torino-Lione è da oggi diventata legge in
Senato con 173 voti favorevoli e 50 contrari, 4 astenuti.
Dal voto è nata una bagarre tra senatori del M5S che ha
esibito le bandane No Tav e il resto dell’emiciclo, soddisfatto di aver alienato
un altro pezzo di sovranità nazionale. Cosa alla quale già ci stiamo abituando
nel silenzio dei media, se si pensa all’ampia area siciliana sottratta alla
riserva naturale quale sarebbe, per passare nelle mani della Marina americana
che vi sta installando i radar Muos, con i quali governare velivoli e
sottomarini nelle pacfiche esportazioni di democrazia di cui gli Usa sono
capaci.
Dal punto di vista formale, è bene ricordarlo, il 20
novembre scorso si fece un gran parlare della ratifica del Trattato tra Italia e
Francia per la realizzazione del tunnel di base transfrontaliero che connetterà
Susa a Sain-Jean-de-Maurienne. L’accordo venne siglato a Roma ma prevedeva ci
si giungesse con una legge alle spalle, alla quale era giunta la Francia nei
giorni precedenti attraverso la discussione all’Assemblea Nazionale. Cosa che
mancava all’Italia. Ma si parlò di ratifica lo stesso, con grande eco sulla
stampa nazionale, molto meno di quanta ne ebbero le rimostranze del solo M5S che
si ribellò all’idea di giungere appunto a questa data senza una preliminare
discussione in Senato che convertisse in legge ciò che legge al 20 novembre
ancora non era. Ma in ballo c’era la serietà dei due Paesi, da presentare all’Unione
europea perché decidesse quanti e quali fondi erogare all’opera. Sicché si
arrivò alla ratifica con una legge (non-legge) “monca” come ripeterono i
deputati dei 5 Stelle.
Ma ben più grave è la sostanza di questa legge, per la quale
si tornerà a parlare di ratifica, sperando forse che ci si dimentichi del 20
novembre e di quanto si parlasse già di ratifica allora.
E vale la pena di riparlarne, perché tutto è la vicenda Tav
fuorché chiara agli occhi degli italiani tramortiti da offensive mediatiche che
a edicole unificate battono la grancassa della violenza e dell’ordine pubblico
(che rende di più in tutti i sensi).
Vale la pena cioè rimettere mano al Trattato e capire che
cosa i francesi tramutarono in legge il 31 ottobre, prima di raggiungere Roma e
stringere mani sorridenti.
La ratifica firmata il 31 ottobre non dà che l’avvallo
definitivo a quell’accordo internazionale franco-italiano necessario all’Europa
per decidere il da farsi sul tunnel della Nuova Linea Torino-Lione. Accordo del
29 gennaio 2001, con ratifica del 30 gennaio 2012 al cui articolo 1 si legge:
Il presente Accordo non costituisce uno dei protocolli
addizionali previsti all’articolo 4 dell’Accordo firmato a Torino tra i Governi
italiano e francese il 29 gennaio 2001. In particolare, non ha come oggetto di
permettere l’avvio dei lavori definitivi della parte comune italo-francese, che
richiederà l’approvazione di un protocollo addizionale separato, tenendo conto
in particolare della partecipazione definitiva dell’Unione europea al progetto.
Articolo fondante, però evidentemente troppo in sordina tra
i cori degli ultras dell’Alta velocità. Ma ciò che i francesi han firmato è ben
altro.
All’articolo 6.5 dell’accordo si legge:
Per quanto concerne le condizioni di aggiudicazione e di
esecuzione dei contratti relativi ai lavori, alle forniture e ai servizi
necessari alla realizzazione delle proprie missioni legate alla progettazione,
alla realizzazione e all’esercizio della sezione transfrontaliera dell’opera,
il Promotore pubblico è tenuto all’osservanza della Costituzione francese oltre
che dei regolamenti e delle direttive comunitarie, con specifico riferimento
alla direttiva 2004/17/CE. Sulla base della supremazia della normativa
comunitaria si disapplicano le norme di diritto nazionale nei casi in cui
quest’ultimo si rilevasse contrario, incompatibile o più restrittivo rispetto
alla direttiva indicata.
Il che significa che il Promotore pubblico, esecutore e
gestore finale della sezione transfrontaliera dell’opera che “può concludere
tutti i tipi di contratto per la realizzazione della sua missione”, dovrà
sottoporsi soltanto all’ordinamento giuridico francese, mentre verrà escluso
quello italiano, contenente la normativa necessaria al contrasto della
penetrazione del crimine organizzato nelle opere pubbliche: l’intera
legislazione anti-mafia italiana verrà saltata a pié pari, spalancando di fatto
le porte a mafia, ‘ndrangheta e camorra.
Ma vuol dire al contempo che la giurisdizione francese
penetrerà in Italia fino a Bussoleno (Torino), al punto che gli stessi
contenziosi contrattuali verranno disciplinati dal diritto pubblico francese,
(art. 10.1, a), le “condizioni di lavoro e di occupazione del personale” (art.
10.2, i e ii) e con essi anche “il diritto applicabile per i danni causati a
chiunque, a motivo della costruzione, l’esistenza, la manutenzione, l’esercizio,
la sicurezza e la sicurezza ASAT delle opere della sezione transfrontaliera è
quello dello Stato francese” (art. 10.1, d).
Di fatto si tratta di una vera e propria cessione di
sovranità dello Stato italiano, se l’accordo recita ancora perentoriamente
all’articolo 10.3: “Il Promotore pubblico è soggetto alla legislazione e alle
disposizioni fiscali applicabili in Francia”. In sostanza, poiché il promotore
è anche il gestore dell’infrastruttura taglierà fuori l’Italia dal godimento
dei proventi tributari dell’opera, con buona pace di chi vede in essa un
investimento. (Testo dell’Accordo Italia-Francia)
Viene da sorridere, amaramente, ma vien da sorridere a
ripensare come il Consiglio dei Ministri giustificò uno dei tre punti della sua
costituzione di parte civile all’inizio del processo contro 52 No Tav, in corso
all’aula bunkler del carcere di Torino: “La sottrazione di una parte del
territorio nazionale alla sovranità nazionale, ovvero l’occupazione abusiva del
territorio della Maddalena, che avrebbe comportato l’adozione di misure
straordinarie di gestione dell’ordine pubblico” («TG Vallesusa»).
.
Viene da sorridere pensando a come i materiali sequestrati
alla Italcoge fallita, e posti sotto tutela del giudice fallimentare, siano
ricomparsi nel cantiere di Chiomonte a uso della Italservizi («notav.info»). O ancora a come
la Pato abbia lavorato tranquillamente per mesi dopo la revoca del certificato
antimafia («TG Vallesusa») .
Viene da sorridere, amaramente, ma vien da sorridere
pensando a come sarebbe tutto più semplice e serenamente coerente se
prendessimo a chiamare i decreti legge Pizzini e i parlamentari Onorevoli
Picciotti. C’est plus facile.
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