Pagine

venerdì 25 gennaio 2013

Shoah


Ogni anno il ricordo di quel che è stato si amplifica in testimonianze che invece a molti farebbe comodo dimenticare per avere un solo, unico capro espiatorio: un simbolo. Auschwitz. Auschwitz è un simbolo che lava le coscienze. E' straniero, un nome straniero in un luogo straniero; persino straniero a se stesso perché non è neppure il nome originale della località in cui si trova (Oświęcim in polacco). E' il simbolo del non-luogo. Ma è anche un non-luogo della coscienza. Perché nella coscienza europea, rintanato dietro la fotografia in cui campeggiano le due torri e il portone entro il quale s'infilano i binari del non ritorno risiede per ciascuno un altro nome.
"Rafle" per i francesi: comunemente retata se non fosse che "La" rafle fa ancora inorridire al ricordo di come la polizia francese si mise al servizio della Gestapo per evitare ingerenze straniere negli affari interni, e alla Gestapo consegnò tutti gli ebrei che trovò sul territorio nazionale.
"Leggi razziali" per gli italiani; per non parlare dei campi di concentramento nostrani.
"Frecce uncinate" in Ungheria, e via discorrendo.
Quando penso alla Shoah penso a Stalingrado. All'assedio parteciparono battaglioni italiani, romeni, ucraini, belga. Penso che a Hitler andarono a chiedere appoggio i finlandesi, i nazionalisti indiani, i padri dell'Olp palestinesi.


Penso che Churchill e Roosevelt sapessero già tutto nel 1942 e non mossero un dito finché non furono gli Sherman americani ad avvicinarsi cigolando ai campi della morte.
Penso agli eccidi di Vilnius in Lituania, di Riga in Lettonia, alle bastonate date in piazza sotto gli occhi di tutti, fino a che nulla di quelle membra distese si muovesse ancora. E ancora accadde in Ucraina, in Moldova (gli italiani e i romeni accompagnavano gli ebrei nei boschi dai quali non tornavano e conobbi ancora una signora moldava che mi raccontava di questo sul confine ucraino: lei si era persino innamorata di uno di questi italiani, Cesare, ma non ne avrebbe poi saputo più nulla); ancora accadde sul Caucaso e si propagò sul Ter del Daghestan e della Cecenia (da cui partirono i convogli staliniani che deportarono il 90 per cento della popolazione poi, colpevole di tradimento in toto, fino al 1953, in cui i sopravvissuti del Kirghistan tornarono senza trovare famiglie né case).
Shoah e Progrom. Io ricordo. Ma ricordo che ai tedeschi ciascuno demandò il desiderio di farla finita con quella storia dei ghetti che andava avanti da secoli. I tedeschi peccarono di zelo e misero a disposizione della morte le loro migliori qualità. Ma Auschwitz è il simbolo di tutto quanto accadde allora, e fu il Carnevale della Brutalità per tutti. Ricordare significa non sottrarsi e perseguire la verità ancora. Perché ci siamo dentro tutti.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.