Presenti diversi sindaci e
amministratori comunali, tra gli altri Eleonora Artesio, consigliera regionale
del Piemonte della Federazione della Sinistra, Paolo Ferrero (Prc), Umberto
D’Ottavio (Pd), l’avvocato Vincenzo Enriches, il professor Angelo Tartaglia del
Politecnico di Torino, la giornalista Concita De Gregorio, Sandro Plano ha
accolto la senatrice Laura Puppato (Pd) che ha di recente sollevato dubbi sulla
priorità della linea Torino-Lyon ad alta velocità.
L’incontro è stato salutato dalla sindaca di Bussoleno Anna Maria Allasio, che ha ricordato la grave crisi in cui versa il territorio, per l’erosione occupazionale a cui le singole amministrazioni non riescono e non possono far fronte.
Grandi infrastrutture e crisi odierna
sono temi correlati. Sembra straordinario che si pensi a realizzare
un’infrastruttura tra due Paesi come l’Italia e la Francia, già abbondantemente
collegati, sostiene Sandro Plano,
presidente della Comunità montana, a fronte di un progressivo indebolimento del
Pil e della crisi occupazionale in cui versa il Paese.
È ciò che lamenta Emilio Chiaberto, sindaco di
Villarfocchiardo, il quale sottolinea come i piccoli comuni si trovino sempre
in maggiori difficoltà a far fronte a un patto di stabilità che non consente
agli amministratori di intervenire economicamente quand’anche ne avessero la
possibilità, dal momento che le risorse devono prima di tutto servire a far
cassa.
Motivi che anche Michele Emiliano in teleconferenza
sottoscrive. Per vent’anni magistrato e da nove sindaco di Bari, Emiliano si
chiede come lo “Stato possa muoversi nel dissenso così grave, così profondo
delle popolazioni che subiscono una scelta”. Scelte conculcate e non condivise,
osteggiate fortemente, ma difese come se si trattasse di mere questioni di
ordine pubblico anziché essere risolte da figure che dimostrino di saper fare
il proprio lavoro, che è lavoro politico. “Se facessimo le primarie del Partito
democratico sulla questione del Tav, – sostiene Emiliano – credo che
praticamente nessuno di noi accetterebbe l’idea che quest’opera possa essere
realizzata senza il consenso delle comunità che la devono subire”, poiché “Nessun’opera
pubblica vale la distruzione di un tessuto sociale fatto di uomini e di donne
che null’altro desiderano se non esercitare quel diritto fondamentale che è
l’autodeterminazione”. Anche perché in una condizione di crisi dello Stato,
sottolinea Emiliano, il pericolo è che nel movimento si infiltrino frange
estremiste: terrorismo e mafia che approfittano delle manchevolezze dello Stato.
Più volte Emiliano ribadisce la necessità di salvaguardare Polizia e
carabinieri poiché figli di un Sud che troppo spesso trova nell’arruolamento
l’unica sua forma di sostentamento, ma soprattutto perché rappresentano il
nucleo democratico, la salvaguardia democratica del nostro Paese.
Sono posizioni che, sorridendo,
Sandro Plano smorza, accettando la molteplicità e la diversità dei punti di
vista, interpretazioni magari non del tutto condivisibili. “L’importante è che
ci sia la volontà di riprendere in mano questo progetto con un altro taglio”.
E il taglio giuridico è stato esposto
dall’avvocato Enriches: “Quest’opera
è totalmente illegittima”.
I primi documenti relativi ai
costi preliminari emersi si devono al Tar del Lazio, e portano all’evidenza costi
indeterminati e spropositati rispetto alle previsioni tecniche che avrebbero
dovuto legittimarli, costi che sono ora sotto gli occhi di tutti, come quelli
delle reti, dei cancelli o delle baracche costate fino a dieci volte il
necessario.
Il tunnel esplorativo di Chiomonte
è stato definito una variante del tunnel esplorativo di Venaus, che non venne
realizzato; una variante che già di per sé, documentalmente porta il costo
dell’opera da 70 a 134 mln di euro. Chiamarla “variante” permette di mantenere
le stesse ditte a capo di un progetto preliminare, indeterminato, che prevede
sin dal principio 138 prescrizioni operative e condizionanti, che quadruplicheranno
automaticamente il preventivo iniziale per un’opera preliminare, propedeutica
alla realizzazione del tunnel definitivo. Il problema principale è che a
decidere i costi dell’opera non saranno lo Stato, le Regioni o i Comuni ma l’azienda
esecutrice dei lavori.
Manca infatti il progetto
esecutivo, deputato a fornire i costi effettivi preventivati; costi che
potranno esser resi noti quando ormai l’opera fosse ampiamente inoltrata, a
discrezione appunto dell’azienda esecutrice. A quel punto nulla vieta che il
costo dell’opera decuplichi. L’iter è stato previsto per amplificare
enormemente i costi, per delegarli all’azienda esecutrice e per escluderne
completamente l’operato dal controllo pubblico. E infatti da due anni e mezzo
gli avvocati del legal team non riescono a ottenere la documentazione
richiesta, e manca addirittura il verbale della Conferenza dei servizi che era
preordinato alla realizzazione del tunnel geognostico di Chiomonte. Proprio
mentre l’Europa preme perché soprattutto in materia ambientale sia data la
massima trasparenza e la massima accessibilità alla documentazione da parte dei
cittadini.
Non sono infatti Grandi opere ma
grandi occasioni di gigantesche speculazioni, sostiene Paolo Flores d’Arcais in collegamento telefonico, “credo – sostiene
il direttore di MicroMega – che dire No Tav sia oggi un elemento essenziale di
un programma politico propositivo”.
A progettare una nuova infrastruttura
si è condotti considerando quella esistente inadeguata o facendo previsioni di
incremento del traffico per il futuro, ma le previsioni non sono soltanto un
atto di volontà, bensì il risultato scientifico di valutazioni e calcoli,
modelli, ricorda il professor Angelo
Tartaglia.
Nel 1992, i proponenti l’opera
prevedevano che i passeggeri sarebbero passati in dieci anni da 2000 a 20.000,
ma dopo vent’anni la quantità di passeggeri resta del tutto invariata. E queste
quantità hanno una loro ragion d’essere: una delle prime linee ad alta velocità,
la Tokyo-Osaka, vanta 400.000 passeggeri al giorno; la Pechino-Shanghai 200.000
passeggeri al giorno; in Francia la linea AV più frequentata è il TGV
Atlantique con oltre 40.000 passeggeri al giorno. Al di sotto delle centinaia
di migliaia di passeggeri/giorno le linee non riescono a essere equilibrate nel
rapporto costi-benefici e necessitano di essere sovvenzionate. Anche
pesantemente sovvenzionate: onere che sta facendo emergere qualche perplessità
nella stessa Francia.
La linea Torino-Lyon venne
pensata per i passeggeri, ma risultando una posizione indifendibile si prese a
parlarne in termini di trasporto merci. Per giustificare però un’opera di
queste proporzioni bisogna considerare l’intero tessuto connettivo delle reti
di trasporto. I traffici degli ultimi vent’anni sono scesi tra Italia e
Francia, mentre sono aumentati verso Austria, Svizzera e Germania, con un
andamento del traffico merci nord-sud in crescita ed est-ovest in declino. Il
motivo non è dovuto che allo spostamento dei mercati mondiali verso le aree
dell’Est asiatico, dalle dinamiche economiche vigorose e un basso costo del
lavoro. La stagnazione del flusso tra Italia e Francia, stimata attorno i 40
milioni di tonnellate all’anno, o meglio l’equilibrio dei flussi commerciali è
soltanto dovuto alla saturazione dei rispettivi mercati. Prevedere che i flussi
di mercato aumenteranno di dieci volte nel prossimo decennio significa decuplicare
per i prossimi anni il volume di auto o di qualsiasi altro bene presente ora. E
quindi la realizzazione dell’alta velocità Torino-Lyon assumerebbe un aspetto
del tutto secondario rispetto alla necessità di dover metter mano all’intera
rete stradale italiana per metterla in grado di sostenere un tale quantitativo
di traffico merci decuplicato rispetto all’attuale. Anche perché, preventivando
un aumento di flusso di merci generalizzato, e nonostante la percentuale di
traffico su gomma assorbito dall’alta velocità, in rapporto triplicherebbe su
strada lo stesso traffico che oggi si intenderebbe ridimensionare: ovvero dai
700.000 camion odierni si passerebbe ai 3 milioni del 2035, stime Ltf. Senza
contare che da un lato non esistono né carri merci adatti all’alta velocità né
motrici che andrebbero progettate e prodotte, e considerando d’altro canto il
fatto ben più rilevante che in Francia l’alta velocità è adibita soltanto al
trasporto passeggeri e non merci, e che le merci italiane, una volta raggiunto
il confine dovrebbero necessariamente transitare su una linea convenzionale.
Tutto ciò – sostiene il professor
Tartaglia – non avrebbe senso per una persona sana di mente, anche se “chi
prende le decisioni è sanissimo di mente, ma evidentemente ha altri obiettivi
che non sono quelli di giustificare un’opera”.
La politica allora deve tornare
ad ascoltare. Dopo aver lei stessa ricoperto la carica di sindaca, la senatrice
Laura Puppato sa che il sindaco
difficilmente riesce a far politica ideologica, ma deve risolvere problemi e
prendere iniziative che vanno ben al di là del consenso immediato. “Se è
comprensibile che ci siano facinorosi, cittadini rabbiosi verso le istituzioni
pubbliche, con certo molta indignazione, quel che non mi tornava era che erano
le istituzioni pubbliche a non volersi piegare a logiche incomprensibili. E
quindi ho voluto venire ad ascoltare” dice.
L’amministrazione, la politica ha
oggi il dovere di fare la massima attenzione a ogni euro speso: “ogni euro deve
trovare giustificazione nelle priorità”. E riesce quindi difficile ritenere
come estremamente ragionevole questo intervento, tanto più irragionevole se
rapportato alle priorità del Paese.
Parliamo di una tratta
ferroviaria certo attrattiva dal punto di vista immaginifico, che unisce gli
Urali all’Atlantico; tuttavia non risulterebbe attrattiva dal punto di vista
economico fino al 2035 almeno. La realtà rimane quella conosciuta: il
Portogallo ha già rinunciato, la Spagna è in forte difficoltà, la Francia si
sta ponendo forti dubbi – tanto che a due anni e mezzo l’accordo con essa
stipulato non è ancora stato ratificato –, la Slovenia realizzerà soltanto la
Tac, ma con tempi adeguati alle proprie possibilità. In pratica soltanto
l’Italia si sta incaponendo su questa tratta. Ma la realtà è anche un’altra:
mentre l’Europa ci sta chiedendo di trasferire il traffico merci al 32% su
rotaia, nell’ultimo anno siamo passati dal 9 all’8%. Viviamo cioè una realtà a
dir poco schizofrenica in relazione a quanto sono le indicazioni comunitarie,
dal momento che ancora, in Italia si privilegia il trasporto su gomma a quello
su rotaia.
Il problema rimane quello delle
priorità e della funzionalità dei fondi investiti: a favore di servizi pubblici
più funzionali per famiglie e imprese, e non strutture come l’alta velocità calate
in una rete ferroviaria del tutto deficitaria.
Alla luce di tutto questo, la
politica deve analizzare in maniera seria, senza secretare nulla, senza aver
paura della verità. In un’Italia ormai del tutto commissariata, sotto un regime
di leggi obiettivo, emergenze terremoti o alluvioni, in cui sono presenti
commissari ovunque che rendono la realtà italiana ben distante dalla gestione
“normale” di un Paese, “Se di cambiamento dobbiamo parlare dobbiamo intendere
un cambiamento di metodo, di stile, di programmazione” che è poi il calcolo
degli obiettivi, dei tempi e dei costi, sostiene Laura Puppato. Ciò significa
ponderare ogni singolo intervento a cominciare da questo, un cambiamento che
riporti la politica a un senso di responsabilità e a una credibilità che ha
perso.
“L’indignazione che viene dagli
amministratori pubblici ha anche una proprietà aggiuntiva perché è la somma
della indignazione degli altri, ma anche una forza che è la forza della
rappresentanza dal basso, quella dei sindaci, quella di prossimità che
percepisce subito i timori, le grandi perplessità, le grandi incognite”. C’è
una poltica che deve sapere ascoltare ma che deve sapere agire in modo diverso.
Massimo Bonato 24.03.13
Massimo Bonato 24.03.13
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