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lunedì 25 marzo 2013

Bussoleno 23 marzo. Incontro tra parlamentari e amministratori


Mentre i deputati del Movimento 5 stelle e Sel oltrepassano i cancelli del cantiere di Chiomonte, a Bussoleno viene dato avvio all’incontro organizzato dalla Comunità montana Valle Susa e Val Sangone tra parlamentari e amministratori.
Presenti diversi sindaci e amministratori comunali, tra gli altri Eleonora Artesio, consigliera regionale del Piemonte della Federazione della Sinistra, Paolo Ferrero (Prc), Umberto D’Ottavio (Pd), l’avvocato Vincenzo Enriches, il professor Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino, la giornalista Concita De Gregorio, Sandro Plano ha accolto la senatrice Laura Puppato (Pd) che ha di recente sollevato dubbi sulla priorità della linea Torino-Lyon ad alta velocità.

L’incontro è stato salutato dalla sindaca di Bussoleno Anna Maria Allasio, che ha ricordato la grave crisi in cui versa il territorio, per l’erosione occupazionale a cui le singole amministrazioni non riescono e non possono far fronte.
Grandi infrastrutture e crisi odierna sono temi correlati. Sembra straordinario che si pensi a realizzare un’infrastruttura tra due Paesi come l’Italia e la Francia, già abbondantemente collegati, sostiene Sandro Plano, presidente della Comunità montana, a fronte di un progressivo indebolimento del Pil e della crisi occupazionale in cui versa il Paese.
È ciò che lamenta Emilio Chiaberto, sindaco di Villarfocchiardo, il quale sottolinea come i piccoli comuni si trovino sempre in maggiori difficoltà a far fronte a un patto di stabilità che non consente agli amministratori di intervenire economicamente quand’anche ne avessero la possibilità, dal momento che le risorse devono prima di tutto servire a far cassa.
Motivi che anche Michele Emiliano in teleconferenza sottoscrive. Per vent’anni magistrato e da nove sindaco di Bari, Emiliano si chiede come lo “Stato possa muoversi nel dissenso così grave, così profondo delle popolazioni che subiscono una scelta”. Scelte conculcate e non condivise, osteggiate fortemente, ma difese come se si trattasse di mere questioni di ordine pubblico anziché essere risolte da figure che dimostrino di saper fare il proprio lavoro, che è lavoro politico. “Se facessimo le primarie del Partito democratico sulla questione del Tav, – sostiene Emiliano – credo che praticamente nessuno di noi accetterebbe l’idea che quest’opera possa essere realizzata senza il consenso delle comunità che la devono subire”, poiché “Nessun’opera pubblica vale la distruzione di un tessuto sociale fatto di uomini e di donne che null’altro desiderano se non esercitare quel diritto fondamentale che è l’autodeterminazione”. Anche perché in una condizione di crisi dello Stato, sottolinea Emiliano, il pericolo è che nel movimento si infiltrino frange estremiste: terrorismo e mafia che approfittano delle manchevolezze dello Stato. Più volte Emiliano ribadisce la necessità di salvaguardare Polizia e carabinieri poiché figli di un Sud che troppo spesso trova nell’arruolamento l’unica sua forma di sostentamento, ma soprattutto perché rappresentano il nucleo democratico, la salvaguardia democratica del nostro Paese.
Sono posizioni che, sorridendo, Sandro Plano smorza, accettando la molteplicità e la diversità dei punti di vista, interpretazioni magari non del tutto condivisibili. “L’importante è che ci sia la volontà di riprendere in mano questo progetto con un altro taglio”.
E il taglio giuridico è stato esposto dall’avvocato Enriches: “Quest’opera è totalmente illegittima”.
I primi documenti relativi ai costi preliminari emersi si devono al Tar del Lazio, e portano all’evidenza costi indeterminati e spropositati rispetto alle previsioni tecniche che avrebbero dovuto legittimarli, costi che sono ora sotto gli occhi di tutti, come quelli delle reti, dei cancelli o delle baracche costate fino a dieci volte il necessario.
Il tunnel esplorativo di Chiomonte è stato definito una variante del tunnel esplorativo di Venaus, che non venne realizzato; una variante che già di per sé, documentalmente porta il costo dell’opera da 70 a 134 mln di euro. Chiamarla “variante” permette di mantenere le stesse ditte a capo di un progetto preliminare, indeterminato, che prevede sin dal principio 138 prescrizioni operative e condizionanti, che quadruplicheranno automaticamente il preventivo iniziale per un’opera preliminare, propedeutica alla realizzazione del tunnel definitivo. Il problema principale è che a decidere i costi dell’opera non saranno lo Stato, le Regioni o i Comuni ma l’azienda esecutrice dei lavori.
Manca infatti il progetto esecutivo, deputato a fornire i costi effettivi preventivati; costi che potranno esser resi noti quando ormai l’opera fosse ampiamente inoltrata, a discrezione appunto dell’azienda esecutrice. A quel punto nulla vieta che il costo dell’opera decuplichi. L’iter è stato previsto per amplificare enormemente i costi, per delegarli all’azienda esecutrice e per escluderne completamente l’operato dal controllo pubblico. E infatti da due anni e mezzo gli avvocati del legal team non riescono a ottenere la documentazione richiesta, e manca addirittura il verbale della Conferenza dei servizi che era preordinato alla realizzazione del tunnel geognostico di Chiomonte. Proprio mentre l’Europa preme perché soprattutto in materia ambientale sia data la massima trasparenza e la massima accessibilità alla documentazione da parte dei cittadini.
Non sono infatti Grandi opere ma grandi occasioni di gigantesche speculazioni, sostiene Paolo Flores d’Arcais in collegamento telefonico, “credo – sostiene il direttore di MicroMega – che dire No Tav sia oggi un elemento essenziale di un programma politico propositivo”.
A progettare una nuova infrastruttura si è condotti considerando quella esistente inadeguata o facendo previsioni di incremento del traffico per il futuro, ma le previsioni non sono soltanto un atto di volontà, bensì il risultato scientifico di valutazioni e calcoli, modelli, ricorda il professor Angelo Tartaglia.
Nel 1992, i proponenti l’opera prevedevano che i passeggeri sarebbero passati in dieci anni da 2000 a 20.000, ma dopo vent’anni la quantità di passeggeri resta del tutto invariata. E queste quantità hanno una loro ragion d’essere: una delle prime linee ad alta velocità, la Tokyo-Osaka, vanta 400.000 passeggeri al giorno; la Pechino-Shanghai 200.000 passeggeri al giorno; in Francia la linea AV più frequentata è il TGV Atlantique con oltre 40.000 passeggeri al giorno. Al di sotto delle centinaia di migliaia di passeggeri/giorno le linee non riescono a essere equilibrate nel rapporto costi-benefici e necessitano di essere sovvenzionate. Anche pesantemente sovvenzionate: onere che sta facendo emergere qualche perplessità nella stessa Francia.
La linea Torino-Lyon venne pensata per i passeggeri, ma risultando una posizione indifendibile si prese a parlarne in termini di trasporto merci. Per giustificare però un’opera di queste proporzioni bisogna considerare l’intero tessuto connettivo delle reti di trasporto. I traffici degli ultimi vent’anni sono scesi tra Italia e Francia, mentre sono aumentati verso Austria, Svizzera e Germania, con un andamento del traffico merci nord-sud in crescita ed est-ovest in declino. Il motivo non è dovuto che allo spostamento dei mercati mondiali verso le aree dell’Est asiatico, dalle dinamiche economiche vigorose e un basso costo del lavoro. La stagnazione del flusso tra Italia e Francia, stimata attorno i 40 milioni di tonnellate all’anno, o meglio l’equilibrio dei flussi commerciali è soltanto dovuto alla saturazione dei rispettivi mercati. Prevedere che i flussi di mercato aumenteranno di dieci volte nel prossimo decennio significa decuplicare per i prossimi anni il volume di auto o di qualsiasi altro bene presente ora. E quindi la realizzazione dell’alta velocità Torino-Lyon assumerebbe un aspetto del tutto secondario rispetto alla necessità di dover metter mano all’intera rete stradale italiana per metterla in grado di sostenere un tale quantitativo di traffico merci decuplicato rispetto all’attuale. Anche perché, preventivando un aumento di flusso di merci generalizzato, e nonostante la percentuale di traffico su gomma assorbito dall’alta velocità, in rapporto triplicherebbe su strada lo stesso traffico che oggi si intenderebbe ridimensionare: ovvero dai 700.000 camion odierni si passerebbe ai 3 milioni del 2035, stime Ltf. Senza contare che da un lato non esistono né carri merci adatti all’alta velocità né motrici che andrebbero progettate e prodotte, e considerando d’altro canto il fatto ben più rilevante che in Francia l’alta velocità è adibita soltanto al trasporto passeggeri e non merci, e che le merci italiane, una volta raggiunto il confine dovrebbero necessariamente transitare su una linea convenzionale.
Tutto ciò – sostiene il professor Tartaglia – non avrebbe senso per una persona sana di mente, anche se “chi prende le decisioni è sanissimo di mente, ma evidentemente ha altri obiettivi che non sono quelli di giustificare un’opera”.
La politica allora deve tornare ad ascoltare. Dopo aver lei stessa ricoperto la carica di sindaca, la senatrice Laura Puppato sa che il sindaco difficilmente riesce a far politica ideologica, ma deve risolvere problemi e prendere iniziative che vanno ben al di là del consenso immediato. “Se è comprensibile che ci siano facinorosi, cittadini rabbiosi verso le istituzioni pubbliche, con certo molta indignazione, quel che non mi tornava era che erano le istituzioni pubbliche a non volersi piegare a logiche incomprensibili. E quindi ho voluto venire ad ascoltare” dice.
L’amministrazione, la politica ha oggi il dovere di fare la massima attenzione a ogni euro speso: “ogni euro deve trovare giustificazione nelle priorità”. E riesce quindi difficile ritenere come estremamente ragionevole questo intervento, tanto più irragionevole se rapportato alle priorità del Paese.
Parliamo di una tratta ferroviaria certo attrattiva dal punto di vista immaginifico, che unisce gli Urali all’Atlantico; tuttavia non risulterebbe attrattiva dal punto di vista economico fino al 2035 almeno. La realtà rimane quella conosciuta: il Portogallo ha già rinunciato, la Spagna è in forte difficoltà, la Francia si sta ponendo forti dubbi – tanto che a due anni e mezzo l’accordo con essa stipulato non è ancora stato ratificato –, la Slovenia realizzerà soltanto la Tac, ma con tempi adeguati alle proprie possibilità. In pratica soltanto l’Italia si sta incaponendo su questa tratta. Ma la realtà è anche un’altra: mentre l’Europa ci sta chiedendo di trasferire il traffico merci al 32% su rotaia, nell’ultimo anno siamo passati dal 9 all’8%. Viviamo cioè una realtà a dir poco schizofrenica in relazione a quanto sono le indicazioni comunitarie, dal momento che ancora, in Italia si privilegia il trasporto su gomma a quello su rotaia.
Il problema rimane quello delle priorità e della funzionalità dei fondi investiti: a favore di servizi pubblici più funzionali per famiglie e imprese, e non strutture come l’alta velocità calate in una rete ferroviaria del tutto deficitaria.
Alla luce di tutto questo, la politica deve analizzare in maniera seria, senza secretare nulla, senza aver paura della verità. In un’Italia ormai del tutto commissariata, sotto un regime di leggi obiettivo, emergenze terremoti o alluvioni, in cui sono presenti commissari ovunque che rendono la realtà italiana ben distante dalla gestione “normale” di un Paese, “Se di cambiamento dobbiamo parlare dobbiamo intendere un cambiamento di metodo, di stile, di programmazione” che è poi il calcolo degli obiettivi, dei tempi e dei costi, sostiene Laura Puppato. Ciò significa ponderare ogni singolo intervento a cominciare da questo, un cambiamento che riporti la politica a un senso di responsabilità e a una credibilità che ha perso.
“L’indignazione che viene dagli amministratori pubblici ha anche una proprietà aggiuntiva perché è la somma della indignazione degli altri, ma anche una forza che è la forza della rappresentanza dal basso, quella dei sindaci, quella di prossimità che percepisce subito i timori, le grandi perplessità, le grandi incognite”. C’è una poltica che deve sapere ascoltare ma che deve sapere agire in modo diverso.

Massimo Bonato 24.03.13


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