di Edmundo del Pozo*
Dighe, miniere, strade , parchi eolici e complessi immobiliari spogliano i popoli originari delle loro terre, depredano territori e risorse naturali con le Grandi opere, protette da una cornice di legalità che favorisce la libera circolazione di capitali e di investitori privati, sottoposti a controlli di poco conto.
Il Messico vanta agli occhi del mondo la ricchezza e la diversità culturale dei suoi popoli originari. Il turista non può mancare di visitare il Museo di Antropología , le Piramidi di Teotihuacan, Chichen Itzá o la moltitudine di villaggi suggestivi di cui è costellato questo vasto territorio. Però, nessuno spiega al turista che dietro a tutta la facciata folclorica le culture indigene subiscono discriminazione e violazioni dei loro diritti fondamentali.
Le Grandi opere sono la più evidente e crudele causa della espropriazione delle terre e della progressiva spogliazione delle risorse naturali. Dighe, miniere, strade, parchi eolici, complessi immobiliari si sviluppano con la complicità di attori pubblici e privati, protetti da un quadro giuridico che favorisce la libera circolazione di capitali e investimenti privati attraverso la rarefazione del controllo, della trasparenza e con coinvolgimento delle popolazioni interessate scarso o preferibilmente nullo.
Alcuni casi concreti possono meglio illustrare questo stato di cose.


Non sono casi isolati, ma rappresenta invece un modello generalizzato di sfruttamento delle risorse che legalizza il saccheggio e consente la criminalizzazione dei movimenti sociali che resistono in tutto il Paese. Allo stesso modo, è sempre più lampante che la implementazione dei piani di "sviluppo" si configura unicamente come possibilità di profitto per imprese e governanti anziché essere volta a promuovere il benessere delle popolazioni e delle comunità. Nell'ambito di questa logica perversa, Stato e imprenditoria non si soffermano a considerare le violazioni dei diritti umani stabiliti dalla Costituzione. E come se non bastasse, le autorità semplicemente non applicano le risoluzioni imposte dal massimo Tribunale di giustizia. Per contro, le persone vengono accusate, tacciate di delinquenza quando esercitano il loro diritto alla resistenza pacifica.
Ci troviamo di fronte a una situazione deplorevole, nella quale sono proprio gli enti governativi a calpestare lo stato di diritto anziché garantirlo.
La sfiducia delle popolazioni indigene nelle istituzioni pubbliche e nelle leggi che vengono emanate appositamente per spogliarle dei loro diritti collettivi è ben più che fondata.
* Edmundo del Pozo è ricercatore di Diritti umani e sicurezza urbana presso il Centro de Análisis e Investigación di Fundar.
[Traduzione di Massimo Bonato]
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