Può apparire come una questione
di lana caprina, volta a cercare il pelo nell’uovo, l’ago nel pagliaio, ma più
sottilmente le distinzioni da fare ci sono e cercherò di venirne a capo, nella
speranza che gli argomenti non vengano banalizzati né da me che cerco di
ordinare, né dalle critiche alle quali facilmente prestano il fianco.
L'aria non si era ancora depurata
dalla polvere nera esplosa contro i carabinieri davanti a Palazzo Chigi, che
già si sollevavano i primi accenni di solidarietà. Il crescendo di voci si rincorrevano,
dal privato all'istituzionale, dal membro al partito per intero sperticandosi nel
dimostrare compassione e solidarietà per l'incidente avvenuto.
Così penso all'uomo che rischia
di finire su una sedia a rotelle per un colpo di pistola e me ne dispiace,
sinceramente. Ma sulla sedia a rotelle non ci andrà a finire una divisa, ci
andrà a finire un uomo. E trovo personalmente irritante che la dizione
"carabiniere" debba universalmente bastare a definire un uomo, come
se l'uomo colpito dal proiettile possa concludersi e risolversi in essa.
Se si presta attenzione alla
lingua con cui parliamo comunemente si scopre che chiamare un uomo con il nome
del mestiere che fa è verosimilmente una metonimia, figura che usiamo di
continuo: "mi berrei un bicchierino" - il contenente per il contenuto
(che sta nel bicchiere); "guadagnarsi il pane con il sudore” - l'effetto
per la causa (della fatica) – “ascoltare il proprio cuore” - concreto per l'astratto
(dei sentimenti). In questo caso si tratta dell'astratto per il concreto, e in
una certa misura anche che del contenente per il contenuto. Se si portasse
sostegno all'uomo XY non vi sarebbe modo di estendere la cerchia della solidarietà
oltre all’uomo che rappresenta solo se stesso, mentre nello specifico gradatamente
si è passati dalla solidarietà al "carabiniere", a quella ai "Carabinieri"
a quella all'"Arma dei Carabinieri” in un continuum che va per l'appunto
dal concreto verso l'astratto, lasciando dietro di sé l'uomo sempre più sullo
sfondo. A nessuno verrebbe del resto di portare solidarietà all'edilizia per un
cantierista volato da un ponteggio, ma, più affine al tema, neanche si porterebbe
solidarietà alle intere Forze armate per un militare ucciso in combattimento.
Questo dissolvimento dell'identità è più forte nelle Forze dell'Ordine che in
qualsiasi altro ambito lavorativo.
Ecco allora che si ritorna
all'assunto principale: se la divisa divide, è solo portando solidarietà all’uomo
che dell’uomo mi rendo cosciente e partecipe della sua sofferenza, non a tutto
l’apparato nel quale viene identificato e la sua identità si dissolve.
D’altro canto si sovrappone a una
ragione retorica, e in parte da essa discende, una ragione logica.
Il Carabiniere (e come lui l’agente
di Polizia) ha come obiettivo il rispetto della legge, e ciò può avvenire o ex positivo, agendo su un reato
commesso, o ex negativo attraverso la
sua prevenzione. La sua attività è cioè polarizzata e volta all’ottenimento di
un solo obiettivo che è il rispetto della legge nella società. Ma in questa
disgiunzione perdiamo di vista l’umanità stessa, perché se da un lato abbiamo
chi deve salvaguardare la legge, dall’altro abbiamo il singolo che è obiettivo
sociale, o di repressione o di prevenzione, la cui umanità è disciolta nell’insieme
della società al pari dell’individualità del Carabiniere è disciolta nell’insieme
dell’Arma.
I piani allora si confondono:
perché da uomo, identità, porgo la mia solidarietà non all’uomo, identità, ma a
ciò che rappresenta. E a ciò che rappresenterebbe per me se violassi la legge.
Perché a ben vedere nella polarizzazione di cui sopra esiste un tertium non datur, un terzo escluso più
saliente, ovvero una o più conclusioni non possibili espresse dalla
disgiunzione o… o…: che la legge venga
fatta rispettare senza prevenzione per esempio, ma anche senza repressione
(soluzioni esattamente speculari a quelle presentate sopra), che venga messa
quindi in discussione, che infine cioè intervenga l’arbitrio del singolo a
decidere gli ordini adeguandovisi o opponendovisi.
Cosa che non può accadere, perché
si violerebbe il principio di non contraddizione che può essere espresso in
questo caso come un ordine che possa essere discusso (cadrebbe immediatamente
il senso stesso dell’ordine e con esso il senso stesso dell’intero apparato).
Tutto ciò conduce a conclusioni
che sono anche richiesta di coerenza: da un lato se è la condivisione di un
dolore umano che voglio rappresentare con la solidarietà verbalizzata e
dichiarata, non posso far altro che esprimerla all’uomo, perché è l’uomo che
soffre e non ciò che rappresenta.
D’altro canto non posso che
pensare all’uomo per esprimere la mia solidarietà di uomo, perché se mi calassi
sullo stesso piano astratto di ciò che rappresenta scioglierei la mia identità
nella società di cui faccio parte e rispetto al Carabiniere non sarei per lui che
parte di un obiettivo da perseguire.
Si tratta di ripianare questo
squilibrio tra l’individuo e l’Arma. O parlo da uomo a uomo o parlo da soggetto
sociale a chi fa rispettare la legge in quella società in cui io non sono più
un’identità singola. Ma in questo secondo caso devo tenere in considerazione
altri aspetti.
Dentro alla divisa c'è un uomo, e
lo penso in quanto tale, e penso alla sua sofferenza ora; ma vi penso in quanto
uomo io stesso, non in quanto soggetto politico che avrebbe potuto essere
sottomesso proprio alle facoltà di quella divisa. E non per una mera questione
di rivalsa sociale o di parte, ma perché risiede nella parola stessa la
risposta: "divisa". Se è la divisa a dividerci, perché possa sentirmi
di portare solidarietà a essa, non dovrei sentirmi al contrario così scostato
da essa da poter temere di essere da essa offeso o ferito a mia volta. Se è da
quella divisa (ovvero l’insieme esteso dell’intera Arma che una singola divisa
rappresenta) che son stati esplosi i colpi contro Carlo Giuliani, per essere
chiari, non esiste una solidarietà a ogni singolo fatto o accadimento che possa
coinvolgere la divisa o l'Arma, al più chi sta dentro ed è rimasto offeso.
Innegabile.
Quale coerenza c'è nel trovarsi a
deprecare comportamenti illegali al limite del deliquenziale delle forze
dell'ordine oggi, trovarsi domani a fronteggiarle con minore o maggiore
responsabilità ma comunque sempre in balia di esse, e poi infine rivaleggiare
per portare solidarietà a una divisa che viene colpita nell'adempimento del proprio
dovere? Penso a Giuseppe Giangrande, ma non riesco a pensare al carabiniere
Giuseppe Giangrande. Questione di lana caprina? Forse, ma la speranza è che
anche l'uomo che sta nella divisa non voglia dissolvere il proprio libero arbitrio
rispondendo come un automa a comandi, ma si renda viceversa critico, per sé e
per la società in cui vive. E anche perché sarà l'unica cosa che, come
scrivevo, resterà vulnerata e sola mentre l'Arma gli sopravviverà al ricordo
prima ancora che alla vita stessa.
M.B. 30.04.13
M.B. 30.04.13
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