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martedì 30 aprile 2013

La divisa divide


Può apparire come una questione di lana caprina, volta a cercare il pelo nell’uovo, l’ago nel pagliaio, ma più sottilmente le distinzioni da fare ci sono e cercherò di venirne a capo, nella speranza che gli argomenti non vengano banalizzati né da me che cerco di ordinare, né dalle critiche alle quali facilmente prestano il fianco.

L'aria non si era ancora depurata dalla polvere nera esplosa contro i carabinieri davanti a Palazzo Chigi, che già si sollevavano i primi accenni di solidarietà. Il crescendo di voci si rincorrevano, dal privato all'istituzionale, dal membro al partito per intero sperticandosi nel dimostrare compassione e solidarietà per l'incidente avvenuto.

Così penso all'uomo che rischia di finire su una sedia a rotelle per un colpo di pistola e me ne dispiace, sinceramente. Ma sulla sedia a rotelle non ci andrà a finire una divisa, ci andrà a finire un uomo. E trovo personalmente irritante che la dizione "carabiniere" debba universalmente bastare a definire un uomo, come se l'uomo colpito dal proiettile possa concludersi e risolversi in essa.
Se si presta attenzione alla lingua con cui parliamo comunemente si scopre che chiamare un uomo con il nome del mestiere che fa è verosimilmente una metonimia, figura che usiamo di continuo: "mi berrei un bicchierino" - il contenente per il contenuto (che sta nel bicchiere); "guadagnarsi il pane con il sudore” - l'effetto per la causa (della fatica) – “ascoltare il proprio cuore” - concreto per l'astratto (dei sentimenti). In questo caso si tratta dell'astratto per il concreto, e in una certa misura anche che del contenente per il contenuto. Se si portasse sostegno all'uomo XY non vi sarebbe modo di estendere la cerchia della solidarietà oltre all’uomo che rappresenta solo se stesso, mentre nello specifico gradatamente si è passati dalla solidarietà al "carabiniere", a quella ai "Carabinieri" a quella all'"Arma dei Carabinieri” in un continuum che va per l'appunto dal concreto verso l'astratto, lasciando dietro di sé l'uomo sempre più sullo sfondo. A nessuno verrebbe del resto di portare solidarietà all'edilizia per un cantierista volato da un ponteggio, ma, più affine al tema, neanche si porterebbe solidarietà alle intere Forze armate per un militare ucciso in combattimento. Questo dissolvimento dell'identità è più forte nelle Forze dell'Ordine che in qualsiasi altro ambito lavorativo.
Ecco allora che si ritorna all'assunto principale: se la divisa divide, è solo portando solidarietà all’uomo che dell’uomo mi rendo cosciente e partecipe della sua sofferenza, non a tutto l’apparato nel quale viene identificato e la sua identità si dissolve.
D’altro canto si sovrappone a una ragione retorica, e in parte da essa discende, una ragione logica.
Il Carabiniere (e come lui l’agente di Polizia) ha come obiettivo il rispetto della legge, e ciò può avvenire o ex positivo, agendo su un reato commesso, o ex negativo attraverso la sua prevenzione. La sua attività è cioè polarizzata e volta all’ottenimento di un solo obiettivo che è il rispetto della legge nella società. Ma in questa disgiunzione perdiamo di vista l’umanità stessa, perché se da un lato abbiamo chi deve salvaguardare la legge, dall’altro abbiamo il singolo che è obiettivo sociale, o di repressione o di prevenzione, la cui umanità è disciolta nell’insieme della società al pari dell’individualità del Carabiniere è disciolta nell’insieme dell’Arma.
I piani allora si confondono: perché da uomo, identità, porgo la mia solidarietà non all’uomo, identità, ma a ciò che rappresenta. E a ciò che rappresenterebbe per me se violassi la legge. Perché a ben vedere nella polarizzazione di cui sopra esiste un tertium non datur, un terzo escluso più saliente, ovvero una o più conclusioni non possibili espresse dalla disgiunzione o… o…: che la legge venga fatta rispettare senza prevenzione per esempio, ma anche senza repressione (soluzioni esattamente speculari a quelle presentate sopra), che venga messa quindi in discussione, che infine cioè intervenga l’arbitrio del singolo a decidere gli ordini adeguandovisi o opponendovisi.
Cosa che non può accadere, perché si violerebbe il principio di non contraddizione che può essere espresso in questo caso come un ordine che possa essere discusso (cadrebbe immediatamente il senso stesso dell’ordine e con esso il senso stesso dell’intero apparato).
Tutto ciò conduce a conclusioni che sono anche richiesta di coerenza: da un lato se è la condivisione di un dolore umano che voglio rappresentare con la solidarietà verbalizzata e dichiarata, non posso far altro che esprimerla all’uomo, perché è l’uomo che soffre e non ciò che rappresenta.
D’altro canto non posso che pensare all’uomo per esprimere la mia solidarietà di uomo, perché se mi calassi sullo stesso piano astratto di ciò che rappresenta scioglierei la mia identità nella società di cui faccio parte e rispetto al Carabiniere non sarei per lui che parte di un obiettivo da perseguire.
Si tratta di ripianare questo squilibrio tra l’individuo e l’Arma. O parlo da uomo a uomo o parlo da soggetto sociale a chi fa rispettare la legge in quella società in cui io non sono più un’identità singola. Ma in questo secondo caso devo tenere in considerazione altri aspetti.
Dentro alla divisa c'è un uomo, e lo penso in quanto tale, e penso alla sua sofferenza ora; ma vi penso in quanto uomo io stesso, non in quanto soggetto politico che avrebbe potuto essere sottomesso proprio alle facoltà di quella divisa. E non per una mera questione di rivalsa sociale o di parte, ma perché risiede nella parola stessa la risposta: "divisa". Se è la divisa a dividerci, perché possa sentirmi di portare solidarietà a essa, non dovrei sentirmi al contrario così scostato da essa da poter temere di essere da essa offeso o ferito a mia volta. Se è da quella divisa (ovvero l’insieme esteso dell’intera Arma che una singola divisa rappresenta) che son stati esplosi i colpi contro Carlo Giuliani, per essere chiari, non esiste una solidarietà a ogni singolo fatto o accadimento che possa coinvolgere la divisa o l'Arma, al più chi sta dentro ed è rimasto offeso. Innegabile.
Quale coerenza c'è nel trovarsi a deprecare comportamenti illegali al limite del deliquenziale delle forze dell'ordine oggi, trovarsi domani a fronteggiarle con minore o maggiore responsabilità ma comunque sempre in balia di esse, e poi infine rivaleggiare per portare solidarietà a una divisa che viene colpita nell'adempimento del proprio dovere? Penso a Giuseppe Giangrande, ma non riesco a pensare al carabiniere Giuseppe Giangrande. Questione di lana caprina? Forse, ma la speranza è che anche l'uomo che sta nella divisa non voglia dissolvere il proprio libero arbitrio rispondendo come un automa a comandi, ma si renda viceversa critico, per sé e per la società in cui vive. E anche perché sarà l'unica cosa che, come scrivevo, resterà vulnerata e sola mentre l'Arma gli sopravviverà al ricordo prima ancora che alla vita stessa.

M.B. 30.04.13

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