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mercoledì 1 maggio 2013

C'è poco da festeggiare...


Un Primo Maggio fiacco e pervaso da una sensazione di attesa, curiosità e nervosismo.

report di Massimo Bonato e Fabrizio Salmoni

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Dopo quattro giorni di pioggia, il cielo era ancora grigio alle 9 di questa mattina prima che il corteo del Primo Maggio si avviasse molto stancamente da piazza Vittorio secondo tradizione ma anche l’atmosfera tra la gente non era delle migliori. A scanso di guai tipo quelli dell’anno scorso (uragani di fischi a Fassino e al Pd), la sorveglianza sembra ulteriormente rafforzata. Il capo della Digos Petronzi (quello che “se non vuoi farti male non andare alle manifestazioni”) guida personalmente via intercom i suoi finti coatti posizionati lungo tutta via Po, e quando alle 9.30 precise arriva Fassino tre anelli di sicurezza gli si serrano intorno: marcantoni della Uil e Digos lo marcano a uomo mentre due manipoli di agenti con scudi e caschi lo accompagnano ai lati sotto i portici. E’ un Fassino plumbeo, non un sorriso, quello che riceve un Giampiero Leo raggiante al suo fianco e si fa fotografare quasi a braccetto ad esile emulazione del più cliccato abbraccio Bersani-Alfano dei giorni scorsi. Dietro ai pochi amministratori al seguito, un ampio varco che li mantiene isolati dal proseguo e sembra rimarcarne la diversità.

Come l’anno scorso, il corteo è aperto da un reparto di Celere ma le fonti di perturbamento sono rare e sparse: un lancio di uova piene di vernice sui ranghi Pd ma che raggiungono i celerini, un breve fronteggiamento in partenza tra Pd e Askatasuna. Nient’altro. Tra la gente sulle ali c’è un sensibile mix di curiosità e rassegnazione, non un cenno di rabbia, sembra sfumata anche quella, rinchiusa nei giorni scorsi su blog e network, nel disagio delle assemblee, nella protesta del servizio d’ordine del Pd che rinuncia a difendere il Partito in piazza. Due madame applaudono il sindaco e poco più avanti due spettatori gli gridano Vergogna! Al governo con i fascisti! suscitando immediato accorrere di armati; in piazza Castello c’è un presidio No Tav che scandisce Giù le mani dalla Valsusa!  ma chi si aspettava clamorose contestazioni rimane deluso. Dietro lo striscione Cgil sfila solo una cinquantina di delegati, poco dietro un manipolo della Filca Cisl distribuisce un volantino patinato pro Tav in cui si afferma disinteressatamente che la Torino-Lione non danneggia il territorio, “ma anzi…è un valore aggiunto” sulla base dei dati ormai consunti dell’Osservatorio di Virano: un fulgido esempio di lavoratori che collaborano attivamente con la speculazione.


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La sorpresa di quest’anno è il ritorno dei marxisti-leninisti: inalberano uno spettacolare stendardo con i suggestivi faccioni di Marx, Engels, Lenin e Stalin e distribuiscono un volantino firmato Comitato di Ricostruzione del Partito Comunista d’Italia (marxista-leninista) con foto e apologia di Baffone. Impareggiabili! Per il resto, pochi gli slogan, quasi sussurrati, se non quelli dei giovani, che per un verso o per un altro non han nulla da perdere, o come gli stranieri balzati all’onore delle cronache per le recenti occupazioni. “Per forza! – dice un passante – se non ci son più fabbriche, con che cosa lo fai il 1° maggio? Con la Funzione Pubblica?”
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Lo spezzone del Pd con qualche parlamentare e tanto apparato entra in piazza San Carlo nel gelo totale. I bei tempi sono finiti per sempre. Quando Fassino si avvicina il palco viene circondato da alcuni clown, lui abbozza e sale. Dalla folla sottostante salgono fischi, lui che sa sempre essere spiritoso dice “Chi fischia non ha argomenti” ma non prova a scendere per andare a farseli esporre. Dietro al Pd entrano in piazza dei dissidenti che si firmano Resistenti Democratici, un probabile antipasto delle prossime divisioni, poi ben distanziato  uno striscione di precari contro l’inciucio, il primo di tanti altri. Lo spezzone più compatto, numeroso e vivace è quello della Fiom; più in fondo, i centri sociali con slogan contro il Pd e Fassino e un buon seguito di gente, frutto probabilmente delle lotte contro gli sfratti. Si impadroniscono del palco, come da prassi ormai consolidata, ma poi tutto finisce lì: c’è un mezzo esercito che li aspetta appena fuori dalla piazza e sconsiglia qualsiasi variante di programma oltre che una dignitosa uscita in corteo verso Porta Nuova. E poi comunque, non è giornata.

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