Quando compriamo un prodotto alimentare sappiamo con un non
certo piccolo margine di sicurezza che il prodotto è controllato e garantito.
Questi controlli vigilano sulla qualità del prodotto alimentare e sulla nostra
salute. Sono controlli che vertono cioè sulla qualità del prodotto stesso
garantendola, ma allo stesso tempo provengono da un valore etico che
salvaguarda la salute del consumatore. Con questi controlli avvengono quindi
due operazioni simultaneamente.
Stando all’ottica del mercato, che cosa significa controllare
la qualità di un prodotto? Significa che una bomba a mano tarata per esplodere
a impatto o dopo otto secondi, non esploda in mano a chi ne estrae la sicura;
significa per la produzione di calcestruzzi e malte nella costruzione edile,
usare sabbia di buona qualità. Questo è un controllo di qualità. Controlli di
qualità e di sicurezza sono ormai certificati dalle norme Iso.
Ora, che cosa manca al processo del controllo? Che sia etico; che investa cioè nel benessere dell’individuo la scelta industriale così come nel settore alimentare già avviene. È ovvio che il cibo ha un rapporto con l’essere immediato, passa dal mercato (sia esso la mano del contadino o la confezione industriale, mercato in senso negoziale) alla bocca. La sensibilità che conduce a un controllo di qualità che non verta soltanto sulla garanzia del prodotto, ma, attraverso questa, sulla sua edibilità, garantisce, come detto, che si salvaguardi contemporaneamente due aspetti: l’azienda e il consumatore.
Ma se si parte dall’etica che ha prodotto questo controllo
si potrebbe arrivare un po’ più lontano e chiedere, come sta avvenendo, che
venga applicata a un senso del “benessere” molto più esteso. Se per “senso del
benessere” non intendiamo più soltanto i due assunti possibili legati alla commestibilità
del cibo (ex negativo: il prodotto x può essere commercializzato poiché non
nocivo; ex positivo: il prodotto x può essere commercializzato poiché benefico
alla salute), ma lo divarichiamo sino a comprendere un “benessere” molto più
ampio e generale che verta sull’individuo e tutte le sue componenti e la
società in cui vive, riflettere e far riflettere su questi temi significa
portare il “benessere” all’apice degli interessi del mercato. Ovvero, non basta
che il controllo di qualità su una bomba a mano mi garantisca che la bomba a
mano non mi esploda appena innescata, dovrebbe garantirmi sulla qualità che
essa produce nella mia vita e nella società in cui vivo (cosa che metterebbe
ipso facto in crisi la liceità della sua produzione stessa).
Stabilire quindi che i controlli non avvengano soltanto
sulla base della qualità di un prodotto ma sulla incidenza che essi avranno
sulla qualità della vita della gente significa ribaltare la piramide delle
priorità e sostituire il vertice del profitto con quello del benessere.
Significa capovolgere il sistema stesso del mercato.
Del resto tutto ciò si basa su una semplice logica: se la
mozzarella blu viene tolta dal mercato perché non commestibile; se non posso
acquistare stricnina in una drogheria qualsiasi, né un revolver senza
autorizzazione, perché lasciare che affarsiti, politici e industriali facciano
il bello e il cattivo tempo nel mercato che rappresenta non soltanto prodotti
in vendita ma anche i consumatori, cittadini che dovranno stabilire un rapporto
con quel prodotto, di qualsiasi fattura esso sia?
Se mi chiedono se una scelta industriale debba considerarsi
scelta politica rispondo sì, è una scelta politica, è una scelta che incide
sulla conduzione della polis, della società: è l’incidenza che il prodotto
della singola azienda avrà sull’individuo e sulla società in cui l’individuo
vive. In sostanza non basta che il prodotto sia garantito a livello
industriale, va garantito a livello sociale.
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