Come recita il volantino che presenta la manifestazione del
13 ottobre a Ravenna contro la Cmc (Cooperativa muratori e cementisti), stare
dalla parte della Terra non significa essere contrari al progresso, ma vigilare
su che cosa significhi ormai il “progresso” stesso, processo dietro al quale
troppo spesso si celano lobby finanziarie e politiche che depredano e devastano
con la promessa della “crescita economica”.
Ciò avviene in tutto il mondo e l’Italia non si sottrae alla
logica predatoria del mercato. Per questo le adesioni a questa protesta sono
giunte da nord a sud, radunando chi a questi interessi vuole sottrarsi, con la
volontà di riacquistare voce e accomunare esperienze. Condividere i conflitti
territoriali in cui l’ambiente viene appunto saccheggiato e la salute
dell’essere umano messa a repentaglio (come spesso paradossalmente l’economia
stessa) significa ridiventare cittadini, riappropriarsi individualmente della
capacità di analisi della realtà, di giudizio su quanto accade e della forza di
opporsi quando necessario. Ridiventare cittadini significa pure non accettare
incondizionatamente decisioni e programmi imposti dall’alto, e decidere
individualmente, autonomamente di farsi promotore della protesta stessa, senza
delega di sorta. Questo spirito ha spinto a rifiutare sigle e bandiere, perché
nessuno potesse predominare su altri.
Dalla parte della Terra sta l’essere umano e il suo lavoro,
il senso stesso del lavoro. In questa protesta non viene messo in discussione
il lavoratore, il cittadino e la sua necessità di creare reddito. Tuttavia la
dignità del lavoro non può prescindere dall’oggetto della lavorazione e dal
processo di lavorazione. Così, sebbene sempre di lavoro si tratti, c’è una
netta differenza tra il realizzare una scuola o un ospedale, ricostruire città
come L’Aquila distrutte da terremoti, o produrre bombe a mano, procedere a
sbancamenti e deforestazioni a favore di Grandi Opere.
Se è umanamente comprensibile la posizione del singolo che
deve produrre reddito, nella necessità di affrontare con il proprio lavoro la
realtà quotidiana, il frutto di quel lavoro e le logiche a cui è asservito
devono essere politicamente e socialmente messe in discussione. Poiché in nome
del fantomatico “progresso” spesso quello stesso reddito di sussitenza viene
prodotto grazie a lavori che mettono a repentaglio ambiente, libertà, salute, e
il futuro stesso delle generazioni a venire. Anche la diga del Vajont venne
creata in nome del lavoro e del progresso, tanto per rimanere in tema di Grandi
Opere.
La manifestazione del 13 ottobre a Ravenna ha come obiettivo
quello di portare una protesta popolare contro la Cmc (Cooperativa Muratori e
Cementisti), simbolo dell’economia di mercato che risponde soltanto alle regole
del profitto, imposte dalla finanza e regolate da decisioni e interessi di
partito, il Pd. Decisioni incontrovertibili, verso le quale la gente comune non
può nulla, ma neanche di fatto lo stesso elettorato Pd.
Nata più di un secolo fa come strumento di difesa degli
interessi dei lavoratori dell’edilizia ha cambiato radicalmente orientamento,
come del resto è accaduto allo storico Pci, al quale faceva riferimento,
trasformandosi in una struttura portante dell’attuale sistema di potere
italiano. La Cooperativa Muratori e Cementisti lavora nel settore delle
costruzioni e dagli anni Settanta è divenuta la quinta potenza internazionale
operando anche nei trasporti, nelle opere idrauliche ed irrigue, nelle opere
portuali e marittime: di fatto una multinazionale che ha tradito la vocazione cooperativistica
abbracciando la logica del profitto, qualunque cosa ciò comporti.
“Da falce e martello a calce e martello” stigmatizzò Marco
Travaglio in una sua recente apparizione televisiva. La Cmc non è indenne da
coinvolgimenti a dir poco opachi nella consueta commistione tra politica e
attività imprenditoriale: basti ricordare di sfuggita l’affaire Penati nella
gestione delle aree Falck di Sesto San Giovanni, che ha portato alla luce un
sistema consolidato di trasferimento di commesse alle cooperative rosse (Ccc,
Cmb, Cmc ecc.) grazie a un flusso di tangenti che percorre il Paese da nord a
sud; o rammentare come nell’appalto di Expo 2015 vinto da Cmc sia emersa nella
catena dei subappalti la discussa scelta di aziende che figurano condannate e
indagate per corruzione e turbativa d’asta (come Consorzio Stabile Litta o
Engeco Srl).
Che si tratti di deforestazione e cementificazione, o anche
di indifferenza alle proteste di decine di migliaia di cittadini che si
oppongono alla realizzazione di progetti come la base militare di Sigonella,
quella del Dal Molin di Vicenza, il ponte sullo Stretto di Messina o il recente
tunnel geognostico per il Tav a Chiomonte in Val di Susa, viene vanificato il
senso stesso del “lavoro”, al quale non rimane la nobiltà del vecchio adagio,
bensì appunto il profitto, pur che sia. Una delle grandi opere che vede
coinvolta la Cmc è per esempio la tratta Alta Velocità Firenze-Bologna, per un
tracciato di 78,5 km (di cui il 93% in galleria). Iniziato nel 1992 e diventato
operativo nel 2009, il progetto prevedeva un costo di 1074 milioni di euro,
lievitati a una spesa complessiva tra il 2004 e il 2010 a 6700 milioni. Ma le
previsioni in difetto non riguardarono soltanto l’aspetto economico bensì anche
quello idrogeologico: se era stato infatti ipotizzato che i lavori avrebbero
avuto un impatto sulle sorgenti poste a 2 km ai lati delle gallerie, in realtà
vennero prosciugati 150 miliardi di litri d’acqua, con l’inaridimento di 70
sorgenti, 38 pozzi, 20 tra fiumi, torrenti e fossi, e 5 acquedotti, ovvero la
desertificazione del Mugello (la sentenza di 1° grado del 2009 della Corte dei
Conti si chiuderà con 27 condanne e la richiesta di risarcimento di 150 milioni
di euro; sentenza ribaltata poi dal giudice in appello, con assoluzione degli
imputati e cancellazione del risarcimento poiché trattandosi di negligenza o
imperizia, il giudice ha ritenuto che si trattasse di danno colposo e non
doloso).
Tra i numerosi altri contratti, la Cmc guida in Valle di
Susa il consorzio di imprese che ha ricevuto l’incarico di realizzare il
cunicolo esplorativo della Maddalena a Chiomonte, in previsione del tunnel
definitivo della nuova linea tra Torino e Lyon. Incarico assegnato in modo
irregolare per numerosi motivi, tecnici e procedurali, denunciati da documenti
delle Comunità Montana Valle di Susa e Val Sangone, rimasti senza risposta.
Analogamente a quanto già avvenuto al Mugello e sulla scorta dei numerosi
successivi studi, per il futuro della Val di Susa sarebbe dunque lecito
aspettarsi delle risposte da parte della Cmc in merito alle sorgenti che
scompariranno; alla perdita di valore dei terreni agricoli e degli abitati;
all’inquinamento atmosferico; all’inquinamento acustico; ai morti per
mesotelioma e per altre malattie polmonari; al denaro sottratto a scuole,
asili, ospedali, Università, e a pensionati e alle nuove generazioni; alla
perdita di posti di lavoro.
E si ritorna con l’ultimo punto al lavoro, al valore del
lavoro. L’argomento forte nella propaganda favorevole alle Grandi Opere, è che
esse servono a creare posti di lavoro: cosa che suona perlopiù come fumo negli
occhi, un’asserzione del tutto falsa. Ė vero che qualunque investimento genera
flusso di denaro, e quindi almeno in parte opportunità di lavoro: vale per
l’Alta Velocità, per il Ponte sullo Stretto, per gli inceneritori, per gli F35,
per le mine antiuomo, vale per qualsiasi attività.
Ma investire nelle Grandi Opere è scelta che genera, a
parità di miliardi investiti, il numero minore di posti stabili di lavoro. E
dal momento che il denaro proviene comunque dal ministero del Tesoro, quello
necessario all’Alta Velocità viene distolto al mantenimento dell’assetto
idrogeologico del Paese, agli ospedali, alle scuole, ai servizi pubblici in
generale. Pertanto, la politica delle Grandi Opere offre meno posti di lavoro
di quanti non ne elimini, e pone in realtà la premessa per la loro diminuzione
e perdita nei numerosi ed essenziali settori, attraverso il meccanismo
dell’espansione del debito pubblico.
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