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domenica 7 ottobre 2012

Dalla parte della Terra




Come recita il volantino che presenta la manifestazione del 13 ottobre a Ravenna contro la Cmc (Cooperativa muratori e cementisti), stare dalla parte della Terra non significa essere contrari al progresso, ma vigilare su che cosa significhi ormai il “progresso” stesso, processo dietro al quale troppo spesso si celano lobby finanziarie e politiche che depredano e devastano con la promessa della “crescita economica”.
Ciò avviene in tutto il mondo e l’Italia non si sottrae alla logica predatoria del mercato. Per questo le adesioni a questa protesta sono giunte da nord a sud, radunando chi a questi interessi vuole sottrarsi, con la volontà di riacquistare voce e accomunare esperienze. Condividere i conflitti territoriali in cui l’ambiente viene appunto saccheggiato e la salute dell’essere umano messa a repentaglio (come spesso paradossalmente l’economia stessa) significa ridiventare cittadini, riappropriarsi individualmente della capacità di analisi della realtà, di giudizio su quanto accade e della forza di opporsi quando necessario. Ridiventare cittadini significa pure non accettare incondizionatamente decisioni e programmi imposti dall’alto, e decidere individualmente, autonomamente di farsi promotore della protesta stessa, senza delega di sorta. Questo spirito ha spinto a rifiutare sigle e bandiere, perché nessuno potesse predominare su altri.

Dalla parte della Terra sta l’essere umano e il suo lavoro, il senso stesso del lavoro. In questa protesta non viene messo in discussione il lavoratore, il cittadino e la sua necessità di creare reddito. Tuttavia la dignità del lavoro non può prescindere dall’oggetto della lavorazione e dal processo di lavorazione. Così, sebbene sempre di lavoro si tratti, c’è una netta differenza tra il realizzare una scuola o un ospedale, ricostruire città come L’Aquila distrutte da terremoti, o produrre bombe a mano, procedere a sbancamenti e deforestazioni a favore di Grandi Opere.
Se è umanamente comprensibile la posizione del singolo che deve produrre reddito, nella necessità di affrontare con il proprio lavoro la realtà quotidiana, il frutto di quel lavoro e le logiche a cui è asservito devono essere politicamente e socialmente messe in discussione. Poiché in nome del fantomatico “progresso” spesso quello stesso reddito di sussitenza viene prodotto grazie a lavori che mettono a repentaglio ambiente, libertà, salute, e il futuro stesso delle generazioni a venire. Anche la diga del Vajont venne creata in nome del lavoro e del progresso, tanto per rimanere in tema di Grandi Opere.

La manifestazione del 13 ottobre a Ravenna ha come obiettivo quello di portare una protesta popolare contro la Cmc (Cooperativa Muratori e Cementisti), simbolo dell’economia di mercato che risponde soltanto alle regole del profitto, imposte dalla finanza e regolate da decisioni e interessi di partito, il Pd. Decisioni incontrovertibili, verso le quale la gente comune non può nulla, ma neanche di fatto lo stesso elettorato Pd.
Nata più di un secolo fa come strumento di difesa degli interessi dei lavoratori dell’edilizia ha cambiato radicalmente orientamento, come del resto è accaduto allo storico Pci, al quale faceva riferimento, trasformandosi in una struttura portante dell’attuale sistema di potere italiano. La Cooperativa Muratori e Cementisti lavora nel settore delle costruzioni e dagli anni Settanta è divenuta la quinta potenza internazionale operando anche nei trasporti, nelle opere idrauliche ed irrigue, nelle opere portuali e marittime: di fatto una multinazionale che ha tradito la vocazione cooperativistica abbracciando la logica del profitto, qualunque cosa ciò comporti.
“Da falce e martello a calce e martello” stigmatizzò Marco Travaglio in una sua recente apparizione televisiva. La Cmc non è indenne da coinvolgimenti a dir poco opachi nella consueta commistione tra politica e attività imprenditoriale: basti ricordare di sfuggita l’affaire Penati nella gestione delle aree Falck di Sesto San Giovanni, che ha portato alla luce un sistema consolidato di trasferimento di commesse alle cooperative rosse (Ccc, Cmb, Cmc ecc.) grazie a un flusso di tangenti che percorre il Paese da nord a sud; o rammentare come nell’appalto di Expo 2015 vinto da Cmc sia emersa nella catena dei subappalti la discussa scelta di aziende che figurano condannate e indagate per corruzione e turbativa d’asta (come Consorzio Stabile Litta o Engeco Srl).
Che si tratti di deforestazione e cementificazione, o anche di indifferenza alle proteste di decine di migliaia di cittadini che si oppongono alla realizzazione di progetti come la base militare di Sigonella, quella del Dal Molin di Vicenza, il ponte sullo Stretto di Messina o il recente tunnel geognostico per il Tav a Chiomonte in Val di Susa, viene vanificato il senso stesso del “lavoro”, al quale non rimane la nobiltà del vecchio adagio, bensì appunto il profitto, pur che sia. Una delle grandi opere che vede coinvolta la Cmc è per esempio la tratta Alta Velocità Firenze-Bologna, per un tracciato di 78,5 km (di cui il 93% in galleria). Iniziato nel 1992 e diventato operativo nel 2009, il progetto prevedeva un costo di 1074 milioni di euro, lievitati a una spesa complessiva tra il 2004 e il 2010 a 6700 milioni. Ma le previsioni in difetto non riguardarono soltanto l’aspetto economico bensì anche quello idrogeologico: se era stato infatti ipotizzato che i lavori avrebbero avuto un impatto sulle sorgenti poste a 2 km ai lati delle gallerie, in realtà vennero prosciugati 150 miliardi di litri d’acqua, con l’inaridimento di 70 sorgenti, 38 pozzi, 20 tra fiumi, torrenti e fossi, e 5 acquedotti, ovvero la desertificazione del Mugello (la sentenza di 1° grado del 2009 della Corte dei Conti si chiuderà con 27 condanne e la richiesta di risarcimento di 150 milioni di euro; sentenza ribaltata poi dal giudice in appello, con assoluzione degli imputati e cancellazione del risarcimento poiché trattandosi di negligenza o imperizia, il giudice ha ritenuto che si trattasse di danno colposo e non doloso).
Tra i numerosi altri contratti, la Cmc guida in Valle di Susa il consorzio di imprese che ha ricevuto l’incarico di realizzare il cunicolo esplorativo della Maddalena a Chiomonte, in previsione del tunnel definitivo della nuova linea tra Torino e Lyon. Incarico assegnato in modo irregolare per numerosi motivi, tecnici e procedurali, denunciati da documenti delle Comunità Montana Valle di Susa e Val Sangone, rimasti senza risposta. Analogamente a quanto già avvenuto al Mugello e sulla scorta dei numerosi successivi studi, per il futuro della Val di Susa sarebbe dunque lecito aspettarsi delle risposte da parte della Cmc in merito alle sorgenti che scompariranno; alla perdita di valore dei terreni agricoli e degli abitati; all’inquinamento atmosferico; all’inquinamento acustico; ai morti per mesotelioma e per altre malattie polmonari; al denaro sottratto a scuole, asili, ospedali, Università, e a pensionati e alle nuove generazioni; alla perdita di posti di lavoro.

E si ritorna con l’ultimo punto al lavoro, al valore del lavoro. L’argomento forte nella propaganda favorevole alle Grandi Opere, è che esse servono a creare posti di lavoro: cosa che suona perlopiù come fumo negli occhi, un’asserzione del tutto falsa. Ė vero che qualunque investimento genera flusso di denaro, e quindi almeno in parte opportunità di lavoro: vale per l’Alta Velocità, per il Ponte sullo Stretto, per gli inceneritori, per gli F35, per le mine antiuomo, vale per qualsiasi attività.
Ma investire nelle Grandi Opere è scelta che genera, a parità di miliardi investiti, il numero minore di posti stabili di lavoro. E dal momento che il denaro proviene comunque dal ministero del Tesoro, quello necessario all’Alta Velocità viene distolto al mantenimento dell’assetto idrogeologico del Paese, agli ospedali, alle scuole, ai servizi pubblici in generale. Pertanto, la politica delle Grandi Opere offre meno posti di lavoro di quanti non ne elimini, e pone in realtà la premessa per la loro diminuzione e perdita nei numerosi ed essenziali settori, attraverso il meccanismo dell’espansione del debito pubblico.  

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