I circa 80 movimenti e comitati radunatisi attorno allo slogan Lottiamo per la Terra e per la Libertà si sono incontrati a Ravenna e hanno sfilato per le sue vie pacificamente, in modo creativo ma deciso. Hanno portato i loro messaggi nelle brevi soste deputate agli interventi. Hanno volantinato lungo tutto il percorso incontrando e informando i cittadini ravennati. Hanno distribuito sacchetti di semi con messaggi, persino alla moglie del sindaco. Hanno deposto piantine e semi di fronte ai cancelli della Cmc, risoluti a lavorare insieme affinché al vertice della piramide economica si sostituisca al profitto il benessere individuale, sociale e ambientale. Ancora una volta la Cmc si sarà vista costretta a distruggere un lembo di terra, vivo e seminato. Simbolico certo, ma per questo ancor più pericoloso, perché è con i simboli che l’essere umano comunica ed è con il dialogo che salda rapporti attorno a idee portanti e condivise. Dietro a ogni No vanno letti i numerosi Sì che ciascun movimento vorrebbe poter dire per uno sviluppo diverso, per una diversa economia, a salvaguardia di una sostenibilità disattesa e un ambiente portato al limite del collasso. Non sono i movimenti contestatori a essere isolati, ma le lobby politico finanziarie attraverso cui si muovono agilmente aziende e cooperative come la Cmc, a discapito dei cittadini, della salute e dell’ambiente. Nessun partito, nessun sindacato, soltanto cittadini. Attorno a loro si sono rincorse le voci sempre più isolate di sostenitori bipartisan (dal Pd al Pdl, da Rifondazione all’Anpi): appunto di tutti gli esclusi, i partiti.
Lo striscione Cmc devastatori della Terra ha aperto la manifestazione, perché il messaggio fosse forte e chiaro. Il corteo è sfilato in una città blindata, tenuta sotto assedio da uno spropositato schieramento di Polizia e Carabinieri in assetto antisommossa disposto di fronte e sui fianchi, a chiudere ogni singolo possibile passaggio verso vie laterali. Si è visto un primo negozio aperto lungo i chilometri di tragitto soltanto nei pressi del primo passaggio a livello di stazione, un tabaccaio a circa duecento metri dalla conclusione della manifestazione. Confesercenti e Confartigianato chiederanno conto della necessità di costringere gli esercenti asserragliati nei negozi serrati e bui, a far capolino ogni tanto da una porta o tra le tende a perline di un supermercato, per accorgersi che non era scoppiata una guerra. Gli elicotteri c'erano, mancavano i cecchini sui tetti.
Eppure, nonostante un percorso periferico, esterno al centro
cittadino, la città era alle finestre e sui balconi, ogni balcone una
videocamera o una macchina fotografica, un saluto. Era ai lati delle strade
infiorate di passanti e biciclette, di chi scendeva da casa per ricevere un
sacchettino di semi. Eppure, tra i pochi che rifiutavano un volantino erano in
molti a riceverlo con un sorriso e inaspettatamente moltissimi a richiederlo.
Eppure il sindaco Matteucci, in una dichiarazione resa in
serata al Resto del Carlino, parla di insuccesso. Comprensibile, non poteva
essere diversamente. Circa duemila persone che sfilano in una città
sonnecchiosa e intorpidita dal benessere, volutamente intimidita dalla
propaganda non sono una kermesse auspicabile. Non è prevedibile che i cittadini
si auto organizzino, amalgamandosi attorno a pensieri e speranze comuni, comuni
intenti e parole d’ordine che guidano le singole lotte. Non è prevedibile che
tutto ciò avvenga fuori dalle logiche di partito, tra la gente comune e che
rimbalzi in rete su oltre 150 pagine tra articoli, interviste, lanci
giornalistici, semplici collegamenti, lettere al direttore, dirette durante la
manifestazione, filmati, collezioni di fotografie ecc.
Forse nel vecchio mondo tutto ciò non poteva accadere. In
quello in cui i movimenti di cittadini già vivono sì.
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