
Se da un lato riecheggia l’imperativo con cui ci eravamo
sentiti bacchettati per mesi, l’infantile “Fare i compiti a casa” che rimetteva
il grembiulino a tutto un popolo governato da politici e tecnici “scesi in
campo” con una metafora calcistica; d’altro canto l’impasse a cui ha condotto l’exploit
di questo movimento popolare ha duplicato le analisi cui siamo avvezzi nel
clima post-elettorale. Chi ha perso deve fare i conti con i voti perduti e anche
con il grande intruso.
Ma le parole d’ordine, sintesi di analisti ed esperti,
sembrano ridursi al “liberismo” per il risanamento e “populismo” per la
risposta con la quale il M5S replica dal basso.
Riflettendo sul momento storico e volendovi trovare un
parallelismo con la tangentopoli della Prima Repubblica, c’è chi paragona il
M5S all’allora sorgere della Lega Nord, movimento popolare, “populista”,
composta trasversalmente da una società civile che prima di tutto avversava la
politica dei partiti romani guardando a Roma come il vaso di Pandora da scoperchiare,
salvo poi non desiderare altro che lasciare Roma e buona parte d’Italia in
balia di se stessa.
Vi è all’opposto chi, come gli scrittori di Wu Ming,
pubblicano su Internazionale strali contro il M5S (Il Movimento 5 stelle ha difeso il sistema) vedendo in esso in realtà un blocco all’insorgenza popolare, un freno all’indignazione
diffusa; interpretano i dubbi su Grillo e le critiche al movimento di un’ampia
fascia di dietrologi, connettendo gli affari del primo – legato a Casaleggio,
mente del marketing – alla voglia di democrazia partecipata del secondo. Vero è
quel che Grillo disse in un’intervista all’«Economist» "Il mio movimento è
un antidetonante: regola la paura". Ciò non significa mettere “un tappo”
che stabilizza il sistema, non significa evitare che in Italia si verifichino o
si verificassero episodi di insorgenza più o meno violenta come quelli di
piazza Syntagma o della Puerta del Sol, delle primavere arabe o degli indignados, del moltiplicarsi in breve
tempo dei diversi #Occupy. Significa “intercettare” e incanalare forze nuove e
portarle in Parlamento.
Rare voci, come quella di Barbara
Spinelli su MicroMega, emergono dissonanti cercando di andare un poco oltre rispetto ai parametri di valutazione che
assumono i comandamenti del dio mercato o della Bce, o d'altro canto lo scetticismo di quell'elettorato e di politici che
stigmatizzano e congedano il nuovo con attributi di populismo e antipolitica.
In realtà chi era miope prima continua a interpretare la
realtà attraverso le spesse lenti delle proprie categorie, mentre le categorie
stanno cambiando o sono già cambiate.
Quel che si stenta a capire, o che si cerca di ingabbiare
entro luoghi comuni conosciuti e riconoscibili, etichette con cui concludere
tutto un movimento, è che il M5S è davvero un movimento popolare.
E il nuovo risiede in questo. Rimane vero il voto di
protesta, rimane vero il fascino del volto nuovo, del voto dato a chi urla più
forte, ma dietro a tutto ciò non c’è una
persona sola. Chi si è impegnato in questo movimento non proviene dalle
convention incravattate, blandite da promesse altisonanti e coronate da inni e
da coretti; non proviene da Feste dell’Unità ridotte a evento fieristico che
mischia la salsiccia al dibattito tra uno stand Fiat e uno della Folletto.
Questa gente proviene dai 321 conflitti territoriali in corso in Italia,
irrisolti; proviene dai movimenti in difesa dell’acqua bene comune, dall’antinuclearismo,
dalla difesa dei diritti civili, dei diritti delle donne, per la salvaguardia
della salute pubblica, dell’istruzione, dell’informazione. Proviene da presidi, picchetti e barricate.
È insomma un movimento che prescinde se stesso. La vera
novità non è il Movimento5Stelle, la vera novità che la politica di partito ha
prima ignorato e ora denigra è che la gente comune ha smesso di lamentarsi, si
è guardata attorno, si è cercata e trovata, si è organizzata e ha deciso di
voler contare qualcosa. All’antipolitica di cui viene tacciata, questa gente
oppone un alto valore politico che è gestione partecipata della cosa pubblica,
del proprio territorio, del proprio presente e del proprio futuro. Grandi e
piccoli movimenti riconoscibili per il No, i vari No-Inceneritore, No Tav, No
Muos, portano con sé un solo No poggiato su uno spettro di Sì alternativi all’economia,
alla finanza, alle politiche sinora imposte, un panorama di alternative
perseguibili e realizzabili.
Quello che non si vuole vedere, e per paura, è che mai come
ora si respira Politica, vera, ed è la politica fatta dalla gente comune che ha
deciso di informarsi, di leggere e documentarsi, di frequentare incontri e
dibattiti, di organizzare conferenze con esperti da cui farsi spiegare come
stanno le cose o dare indicazioni sulle alternative possibili, sui progetti in
corso. Di gente che si incontra e si scontra per poter stare insieme, poiché
parlare di trasversalismo e non calarvicisi, non rende conto delle difficoltà
umane che i differenti, e spesso distanti, retroterra culturali, sociali,
economici e politici di ciascuno pongono ciascuno potenzialmente in conflitto
con un compagno di lotta. Il trasversalismo senza la militanza resta una parola
vuota.
Ecco allora perché questo movimento trascende se stesso,
perché a prescindere da Beppe Grillo, a prescindere dagli esiti a cui l’Italia
sarà condotta per la stabilità della governance,
a prescindere dal successo o dal fallimento del movimento stesso, la gente che
si è riconosciuta in esso, con maggiore o minore convinzione non smetterà di
lottare, di incontrarsi e informarsi, formarsi e scontrarsi. Non avremo avuto
la Puerta del Sol o piazza Syntagma, ma abbiamo centinaia di movimenti fatti di
gente che oppone all’inerzia del lamento la fatica e la gioia della lotta. E
questo non lo fermerà né chi elude questa tensione sociale squalificandola con un
epiteto, né chi ancora crede di esercitare la democrazia una volta ogni cinque
anni con un voto e passare il restante tempo ad aspettare o a lamentarsi.
(A grillini e anti-grillini da un non-grillino)
(A grillini e anti-grillini da un non-grillino)
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