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venerdì 1 marzo 2013

La paura fa Novanta


Sull’edizione in uscita il 2 marzo, l’«Economist»  riprende il giudizio espresso da  Peer Steinbrueck, candidato socialdemocratico alla cancelleria tedesca, il quale si era detto "Inorridito dalla vittoria di due clown". Il settimanale inglese titola infatti Send in the Clowns (Che entrino i clown) il preoccupato articolo nel quale rimbalzano gli eurotimori per un’Italia instabile, troppo grande per affondare ma troppo grande per essere aiutata; troppo distante dalle riforme, che su indicazione europea e tedesca dovrebbero innescare la tanto auspicata ripresa economica - fatto salvo versarne poi gli introiti per il risanamento del debito -; troppo radicata nell’Unione europea e troppo importante per uscirne (o "svignarsela" secondo quanto scrive l’«Economist»: “Too big to fail or to bail” ). Timori rimbalzati in questi giorni sui quotidiani europei e non solo, come una litania, si sporgono monolitici su un orizzonte di indicazioni, consigli, prospettive e scenari.
Alla serie di preoccupazioni politiche nostrane ed europee, che altro non sono se non un monito, un memorandum di impegni da onorare, fanno da contraltare le analisi del Movimento 5 Stelle scaturito dalla società civile e ora alle porte del Parlamento.
Se da un lato riecheggia l’imperativo con cui ci eravamo sentiti bacchettati per mesi, l’infantile “Fare i compiti a casa” che rimetteva il grembiulino a tutto un popolo governato da politici e tecnici “scesi in campo” con una metafora calcistica; d’altro canto l’impasse a cui ha condotto l’exploit di questo movimento popolare ha duplicato le analisi cui siamo avvezzi nel clima post-elettorale. Chi ha perso deve fare i conti con i voti perduti e anche con il grande intruso.
Ma le parole d’ordine, sintesi di analisti ed esperti, sembrano ridursi al “liberismo” per il risanamento e “populismo” per la risposta con la quale il M5S replica dal basso.
Riflettendo sul momento storico e volendovi trovare un parallelismo con la tangentopoli della Prima Repubblica, c’è chi paragona il M5S all’allora sorgere della Lega Nord, movimento popolare, “populista”, composta trasversalmente da una società civile che prima di tutto avversava la politica dei partiti romani guardando a Roma come il vaso di Pandora da scoperchiare, salvo poi non desiderare altro che lasciare Roma e buona parte d’Italia in balia di se stessa.
Vi è all’opposto chi, come gli scrittori di Wu Ming, pubblicano su Internazionale strali contro il M5S (Il Movimento 5 stelle ha difeso il sistema)  vedendo in esso in realtà un blocco all’insorgenza popolare, un freno all’indignazione diffusa; interpretano i dubbi su Grillo e le critiche al movimento di un’ampia fascia di dietrologi, connettendo gli affari del primo – legato a Casaleggio, mente del marketing – alla voglia di democrazia partecipata del secondo. Vero è quel che Grillo disse in un’intervista all’«Economist» "Il mio movimento è un antidetonante: regola la paura". Ciò non significa mettere “un tappo” che stabilizza il sistema, non significa evitare che in Italia si verifichino o si verificassero episodi di insorgenza più o meno violenta come quelli di piazza Syntagma o della Puerta del Sol, delle primavere arabe o degli indignados, del moltiplicarsi in breve tempo dei diversi #Occupy. Significa “intercettare” e incanalare forze nuove e portarle in Parlamento.
Rare voci, come quella di Barbara Spinelli su MicroMega,  emergono dissonanti cercando di andare un poco oltre rispetto ai parametri di valutazione che assumono i comandamenti del dio mercato o della Bce, o d'altro canto lo scetticismo di quell'elettorato e di politici che stigmatizzano e congedano il nuovo con attributi di populismo e antipolitica.
In realtà chi era miope prima continua a interpretare la realtà attraverso le spesse lenti delle proprie categorie, mentre le categorie stanno cambiando o sono già cambiate.
Quel che si stenta a capire, o che si cerca di ingabbiare entro luoghi comuni conosciuti e riconoscibili, etichette con cui concludere tutto un movimento, è che il M5S è davvero un movimento popolare.
E il nuovo risiede in questo. Rimane vero il voto di protesta, rimane vero il fascino del volto nuovo, del voto dato a chi urla più forte,  ma dietro a tutto ciò non c’è una persona sola. Chi si è impegnato in questo movimento non proviene dalle convention incravattate, blandite da promesse altisonanti e coronate da inni e da coretti; non proviene da Feste dell’Unità ridotte a evento fieristico che mischia la salsiccia al dibattito tra uno stand Fiat e uno della Folletto. Questa gente proviene dai 321 conflitti territoriali in corso in Italia, irrisolti; proviene dai movimenti in difesa dell’acqua bene comune, dall’antinuclearismo, dalla difesa dei diritti civili, dei diritti delle donne, per la salvaguardia della salute pubblica, dell’istruzione, dell’informazione. Proviene da presidi, picchetti e barricate.
È insomma un movimento che prescinde se stesso. La vera novità non è il Movimento5Stelle, la vera novità che la politica di partito ha prima ignorato e ora denigra è che la gente comune ha smesso di lamentarsi, si è guardata attorno, si è cercata e trovata, si è organizzata e ha deciso di voler contare qualcosa. All’antipolitica di cui viene tacciata, questa gente oppone un alto valore politico che è gestione partecipata della cosa pubblica, del proprio territorio, del proprio presente e del proprio futuro. Grandi e piccoli movimenti riconoscibili per il No, i vari No-Inceneritore, No Tav, No Muos, portano con sé un solo No poggiato su uno spettro di Sì alternativi all’economia, alla finanza, alle politiche sinora imposte, un panorama di alternative perseguibili e realizzabili.
Quello che non si vuole vedere, e per paura, è che mai come ora si respira Politica, vera, ed è la politica fatta dalla gente comune che ha deciso di informarsi, di leggere e documentarsi, di frequentare incontri e dibattiti, di organizzare conferenze con esperti da cui farsi spiegare come stanno le cose o dare indicazioni sulle alternative possibili, sui progetti in corso. Di gente che si incontra e si scontra per poter stare insieme, poiché parlare di trasversalismo e non calarvicisi, non rende conto delle difficoltà umane che i differenti, e spesso distanti, retroterra culturali, sociali, economici e politici di ciascuno pongono ciascuno potenzialmente in conflitto con un compagno di lotta. Il trasversalismo senza la militanza resta una parola vuota.
Ecco allora perché questo movimento trascende se stesso, perché a prescindere da Beppe Grillo, a prescindere dagli esiti a cui l’Italia sarà condotta per la stabilità della governance, a prescindere dal successo o dal fallimento del movimento stesso, la gente che si è riconosciuta in esso, con maggiore o minore convinzione non smetterà di lottare, di incontrarsi e informarsi, formarsi e scontrarsi. Non avremo avuto la Puerta del Sol o piazza Syntagma, ma abbiamo centinaia di movimenti fatti di gente che oppone all’inerzia del lamento la fatica e la gioia della lotta. E questo non lo fermerà né chi elude questa tensione sociale squalificandola con un epiteto, né chi ancora crede di esercitare la democrazia una volta ogni cinque anni con un voto e passare il restante tempo ad aspettare o a lamentarsi.

(A grillini e anti-grillini da un non-grillino)




Travaglio su Grillo _ Servizio Pubblico 28 febbraio 2013


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