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venerdì 1 febbraio 2013

Lasciare un'aula deserta. La terza udienza del processo No Tav


Oggi 1° febbraio si è svolta nell’aula bunker del carcere delle Vallette la terza udienza del processo ai 52 NoTav imputati per i fatti del 27 giugno e 3 luglio 2010.
Il clima si è subito acceso: imputati chiusi fuori, ma reclamati all’interno, mentre si cerca di dare il via all’appello; la richiesta negata di leggere un documento di protesta, e dunque una voce che emerge e sovrasta quella del giudice leggendo questo comunicato:

La scelta di spostare il processo in questa aula bunker è in sintonia con l’ondata repressiva sostenuta e legittimata dalla campagna mediatica finalizzata a demonizzare il movimento NO TAV, tentando di indebolirlo e isolarlo dalle lotte che attraversano il paese.
Trasferendo la sede del processo voi state tentando di rinchiudere la lotta NO TAV nella morsa della “pericolosità sociale” e delle emergenze.
Noi invece, rivendichiamo le pratiche della lotta ribadendo le ragioni che ci spingono a resistere contrastando chi vuole imporre il Tav militarizzandola valle con le conseguenti devastazioni umane, sociali e ambientali.
Le nostre ragioni restano vive, e la vostra scelta di trascinarci in questa aula bunker non ci impedirà di portarle avanti.
Per questo oggi scegliamo di abbandonare tutte/i quest’aula, lasciandovi soli nel vostro bunker.
Giù le mani dalla Valsusa!
Ora e sempre resistenza!

Questo basta perché il giudice ordini l’identificazione di chi legge sin dalle prime battute, richiedendo l’intervento dei Carabinieri. I compagni si stringono attorno al lettore; alla voce del primo se ne aggiunge una seconda, poi quella degli altri imputati e infine del pubblico intero, facendo del comunicato un’altisonante coro che unisce il pubblico agli imputati attraverso le barriere di vetro che separano l’aula che si riempie di voci.
Giusto il tempo della lettura, poi fuori, tutti assieme. Gli imputati voltano le spalle e abbandonano l’aula, e con loro il pubblico lasciando attoniti presidente e giudici, avvocati della difesa e dell’accusa. È un attimo di silenzio che sembra non finire. L’imbarazzo è palpabile, tuttavia la procedura va portata a termine e il giudice riprende l’appello dichiarando la contumacia.
Però uscire non è così semplice. Forse a seguito dell’ordine di identificazione, chi ha già superato i cancelli viene risospinto all’interno dalla Polizia in tenuta antisommossa. Vola qualche manganellata, spintoni. Caricati all’interno del carcere. Divisi tra chi era rimasto all’esterno e chi all’esterno non può tornare, nonostante l’ingresso all’aula preveda check-in e identificazione. Intervengono gli avvocati e la situazione lentamente si appiana.
La protesta continua. In corteo fin dove il furgone del Csoa Gabrio può portare la sua musica ai detenuti in una piazzola; un prato antistante le inferriate e qualcuno che corre a portare un saluto, un grido, tra la polizia che accorre a coorte.

TG Valle Susa


dal Fatto Quotidiano

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