di Massimo Bonato
A Luc Besson si perdona. Solo
preoccupa l’impoverimento dell’eclettismo e la ristrettezza nella
superficialità. Lucy coniuga due talenti come Scarlett Johansson e Morgan
Freeman senza sfruttarne le possibilità e
sotterrandoli in una quantità spossante di effetti speciali. Questi sì
da lasciare a bocca aperta, dopo la infantile scoperta che ciascuno fa del caleidoscopio
o le mirabilia descritte nell'Ars Magna Lucis et Umbrae di Athanasius Kircher.
Lucy viene convinta dal ragazzo a
consegnare una valigetta di cui non conosce il contenuto. Droga sperimentale. La consegna ai
criminali di Taipei, dove vive, e che la usano come corriere per trasportarla in
Europa. Un sacchetto di questa droga le viene infilato nel corpo, e viene
rispedita a casa assieme ad altri malcapitati come lei. Ma cercano di
violentarla, reagisce, e viene picchiata a sangue. Il sacchetto le si rompe nel
ventre facendo esplodere in lei lo stupefacente che la condurrà a sfruttare progressivamente
la mente sino a dominarla completamente, acquisendo poteri che i mortali non
conoscono. Dovrà trovare lo scienziato che Morgan Freeman interpreta, per
rendergli ragione del lavoro di una vita, ma soprattutto per sfruttare in brevi
istanti tutto il potere tecnologico del suo laboratorio. Sconfiggerà i cattivi,
si ricongiungerà alla Lucy primordiale di cui il nome è citazione e si
disintegrerà in una teofania misericordiosa che la fa comparire anche nel
cellulare del poliziotto che l’aiuta inebetito con il chiarimento: “I’m everywhere”.
Trama semplice per un’incursione
costante nella fisica quantistica che va di gran moda negli ambienti
intellettuali di mezzo mondo, banalizzandola in una teoria di primi piani colmi
di stupore per cose di nullo conto. Lucy è citazione dell’Australopithecus afarensis a cui venne dato questo nome, e che
viene posto come primo homo abilis. Parallelo
con la prima foemina abilis, il
personaggio Lucy, primo essere umano a sfruttare la mente al 100%, più che
altro per annichilire altre killer amate dal grande pubblico al quale Nikita e
la sposa di Kill Bill sembreranno soltanto macchine sparatutto. Prima ma anche
ultima perché raggiunge le sue vette sparandosi tutta la droga, il fantomatico CPH4
che spargerà questa foemina abilis appunto
everywhere.
Stupisce il costante stupore che
si dipinge sul volto di Morgan Freeman al quale si fan spendere discorsi sul
tempo che non stupiscono, ma che sanno di ingombro sonoro per riempire la
scena. E dire, che ad approfondire anche di poco la meccanica quantistica, di
stranezze sul tempo, ancorché comprensibili se ne potrebbero cavare, senza far
rivoltare Einstein nella tomba, per la volgarizzazione superficiale del tema,
che riduce il tempo a una chiacchiera da scoperta dell’acqua calda. Scarlett Johansson,
dal suo, esercita ancora quello sculettamento che pur divenuta un po’ ciaciotta
si fa apprezzare, e ripreso a partire dai tacchi alti sa di Emanuelle, come le allucinazioni riportano a qualcosa come Stati di allucinazione. Citazioni che
affondano nei cliché della cultura cinematografica, sparatorie e inseguimenti, morti
ammazzati e allucinazioni, cascate di dati alla Matrix che vengono restituiti
al pubblico però contemporaneo attraverso la gestualità da tutti riconoscibile
e condivisa, che fa della separazione tra pollice e indice lo strumento meno habilis ma più semplice e conosciuto per
aprire finestre dai comuni smartphone. Dall’antichità banalizzata al banale
gesto quotidiano si perdona a Luc Besson questo giro in Luna park, sperando che
il talento non gli manchi la prossima volta per riportarci alla sua produzione
migliore.
M.B. 19.10.14