Pagine

mercoledì 27 marzo 2013

Il mio nome è Deserto



Pietro Abate-Daga, redattore della Gazzetta del Popolo nella Torino degli anni Venti produsse un réportage tra il 1923 e il 1926 poi confluito nel volume Alle porte di Torino. Studio storico critico dello sviluppo, della vita e dei bisogni delle regioni periferiche della città, Italia Industriale Artistica Italiana Editrice, Torino 1926.

Nel suo lavoro Abate-Daga perlustrava ogni quartiere tracciandone confini, storia e sviluppo industriale dall'indomani della caduta della cinta daziaria ai suoi giorni. Ne emerge un quadro a dir poco sorprendente: quello di una città in cui l'appellativo "industriale" significava produttività e impiego in tutti i settori che ricoprivano la galassia dell'industria manifatturiera e della trasformazione. Gli elenchi forniti per ogni quartiere delle unità produttive da Abate-Daga sono tali da far pensare che a Torino, in quegli anni, si potesse cambiare un impiego al giorno per tutta la vita senza far mai lo stesso lavoro. Alla nascita della Fiat esistevano in città altre dodici industrie automobilistiche, ma anche industrie del vetro, della ceramica, dell'arredo, del colore e della verniciatura, birrifici, opifici militari, officine tipografiche e meccaniche, cementifici e industrie alimentari; officine di ogni tipo vivificavano i capannoni che sciamavano in dimensioni sin dentro i cortili delle case di ringhiera, comunemente chiamati "bòite" in piemontese. Le bòite rappresentavano la piccola e la media impresa che innervava la grande nel suo indotto. Parliamo non di qualche decina, neanche di centinaia, parliamo di migliaia di imprese sorte nel cuore di una città di cui ora si parla in termini di deserto.

(da Borghi e borgate di Torino, a cura della Scuola di specializzazione in Beni architettonici e del Paesaggio, Celid, Torino 2011)

Massimo Bonato 27.03.13

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.